Regia di Pascal Chaumeil vedi scheda film
A difesa del film c'è da dire che il successo letterario di Nick Hornby è sicuramente qualcosa un po' troppo montato a livello pubblicitario per celare un vero artista. Non che quest'autore britannico non sia effettivamente un narratore assolutamente dignitoso con il suo personalissimo (non)stile quotidiano e con poche pretese, ma il troppo stroppia e anche la sua ostentata semplicità può presto venire a noia. D'altronde il suo Non buttiamoci giù non poteva certo dirsi un capolavoro, ma era quantomeno avvincente e sapeva costruire con verve e sagacia quattro personaggi non proprio indimenticabili ma sicuramente oggetto di totale empatia almeno durante la lettura. Forse perché la storia si adatta più a un romanzo, con le quattro voci narranti che raccontano il loro punto di vista, ma il Non buttiamoci giù di Pascal Chaumeil non sembra provarci nemmeno, a fare un po' di cinema (anche d'intrattenimento, per carità). Il film infatti, con le sue quattro star o semistar cinematografiche o televisive dal volto riconoscibile, è un calderone arcisaturo di dilettantismo, di ingenuità e verrebbe da dire quasi di ignoranza. Ignoranza nei confronti dei drammi umani, ignoranza nei confronti dell'ironia, ignoranza nei confronti dei tempi cinematografici. Nel romanzo le psiche dei vari personaggi, per quanto non sempre plausibilissime, evolvevano e davano per verosimile, comunque, il loro reciproco avvicinamento; qui sembra che tutto voglia andare più svelto, veloce, e il film si accanisce sugli sviluppi narrativi senza curarsi di come ci stia arrivando. Tant'è che le scelte dei protagonisti già all'inizio del film risultano assurde: si rinuncia così facilmente al suicidio? C'è un qualche momento in cui voi personaggi avete già fatto amicizia tanto da preoccuparvi l'uno per l'altro e da ritrovarvi casualmente per strada già per darvi un passaggio reciprocamente in macchina, magari un momento che ci è stato nascosto? No, dopo dieci minuti già i quattro suicidandi sono amici. Embè, non c'è tempo da perdere, il resto dei fatti si catapulta non con agilità e astuzia, ma con desolante pedanteria, scivolose ellissi e banalissimi buonismi totalmente gratuiti. E la cosa più triste (o dovrebbe essere una consolazione?) è che non sembra esserci necessariamente ipocrisia nello sguardo di Chaumeil, perché è tutto così dannatamente bambinesco e, ripetiamolo, ignorante, che viene quasi da pensare che sia tutto altrettanto dannatamente sincero. Ma di quella sincerità che non si desidererebbe mai, che non si vorrebbe pensare così ingenua, così infantile.
I tempi comici/drammatici, schedati dalla colonna sonora insignificante, dal montaggio televisivo e dalla regia anonima, sono tutti completamente sballati anche prendendo come riferimenti gli standard medio-bassi della roba proprinataci in televisione, perché né si ride né si piange né si prova alcunché. Ci si chiede piuttosto dove va a parere simile dispiego di attori di solito bravi (da Rosamund Pike a Sam Neill) in bassezze cinematografiche del genere.
Se poi nel romanzo l'ironia era abbastanza acida, per non dire macabra, essendo in stretto contatto con i protagonisti (tanto da prenderli sul serio solo relativamente) e la loro depressione, qui il sarcasmo non scalfisce nemmeno da lontano il politically correct, e non bastano i vezzi di Imogen Poots per dare al film un aspetto biricchino, tutto è già sepolto come terra arida e inerte. Non siamo nemmeno nell'insulso, nel ridicolo involontario o in qualcosa di essenzialmente sbagliato: è semplicemente tutto un trionfo di banalità e di ingenuità, né più né meno. L'invadenza mediatica rappresentata non sembra nemmeno da lontano un vero problema, e la simpatia nei confronti dei personaggi non attacca nemmeno un attimo, forse perché alla fine sono tutti dannatamente buoni anche se sono pedofili, drogati o semplicemente soli. Didascalico piattume, siamo immersi in una drammatica indifferenza.
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