Regia di Carlo Vanzina vedi scheda film
Tra i principali, anche perché quasi l’unico, successi commerciali degli ultimi anni per i fratelli Vanzina, in realtà si assesta tra i loro titoli più deludenti considerando anche che manda all’aria la “difesa” che offre l’utilizzo di uno sfondo “road movie” (fonte praticamente sterminata di possibilità) mostrando un’approssimazione che degenera sempre di più col passare dei minuti.
Cinque persone, che sono alle prese con i problemi della vita di tutti i giorni, scoprono improvvisamente di avere il medesimo padre biologico e che quest’ultimo è appena morto.
A loro disposizione c’è una cospicua eredità da dividere, ma per ottenerla devono recarsi tutti insieme in Arizona per spargere le ceneri del defunto.
Lungo il viaggio ci saranno delle complicazioni.
Carlo Vanzina gira col pilota automatico, da un’idea standard in tutto e per tutto ricava un film che ne copia un’altra marea, per lo più con una rappresentazione di getto, senza una minima cura, all’insegna del “facciamo presto a finire le riprese”.
Si prova la strada della coralità, ma poi si finisce velocemente nello scult (l’incontro con l’orso), nella riproposizione maldestra di scene classiche, come la rapina in farmacia, con una leggerezza madornale nel mettere in atto un battibecco d’amore tra le due neo-sorelle, con poi le consuetudinarie smancerie varie che si sovrappongono sul finale del percorso (addirittura un’aquila che segna il cammino maestro … che classe!).
E per finire, la chiusura è ridicola, se non altro non è una traccia per un seguito, al momento temevo per il peggio, ma una semplice, ennesima, superficialità (cento volte più facile trovare un ago in un pagliaio).
L’impatto del cast è alterno, va da se che si parta svantaggiati considerato il contesto; vince Anna Foglietta, fieramente coatta, energica e spavalda, si salva un simpatico “immaturo” Ricky Memphis, Vincenzo Salemme ripropone stancamente le solite cose, male Ambra Angiolini, troppo isterico e problematico il suo personaggio, troppo rivolta a fornire un’improbabile intensità drammatica lei, assolutamente pessimo Giovanni Vernia che non perde nemmeno un’occasione per aprire la bocca (ad un certo punto diventa un disco rotto nel ripetere citazioni cinematografiche, estenuante).
Dunque, si ripropone un discorso abbastanza classico; a questo tipo di cinema di stampo popolare non si devono (possono) per forza chiedere grandi cose, ma almeno una lavorazione meno cialtrona e magari qualche spunto in più degli interpreti, francamente così si può, ad andar bene, pensare ad uno “scult”, ma non credo fossero le intenzioni.
Ripetitivo, scontato, ma soprattutto incolore.
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