Regia di Massimo Venier vedi scheda film
Metti un set per un film con Luciana Littizzetto e Fabio De Luigi per “remakizzare” [a orrida visione orrida definizione] Il vedovo di Dino Risi del 1959 (con Franca Valeri e Alberto Sordi).
Brividi.
Meglio soprassedere, e lasciare da parte ogni confronto con il superbo originale: non nominiamolo più, per favore; ma nemmeno nei più perversi ed autolesionisti pensieri …
Aspirante vedovo aspira a portare estremo gaio sollazzo; peccato che, però, nemmeno per sbaglio o per caso o per una qualche misteriosa congiunzione di eventi, non ci sia un solo momento che faccia ridere. Sul serio, non si scherza (quelli sì, a quanto pare: contenti loro).
Pesantissimo nonostante l’ora e mezza scarsa e la “ricercata” dimensione leggera e brillante, la nuova “fatica” di Massimo Venier distende i suoi rotolini di “comicità” in una simpatica grumosa pastetta di farsa conclamata infornando il prodotto così ottenuto nell’onnivora fornace di chiara matrice televisiva.
Dimensione ottimale nella quale sguazzano beati come nutrie nella fanghiglia gli incredibili protagonisti, il (mai così) bolso, inespressivo De Luigi e la fastidiosissima Littizzetto (all’ennesimo “gnugnu” rivolto al disgraziato compare sogni di oltrepassare i pixel e accopparla di persona), i quali non fanno altro che ripetere - stancamente, molto ma molto stancamente - sé stessi, in un tristissimo susseguirsi di scenette/siparietti di quart’ordine.
Aspirante vedovo s'ispira ai piccoli grandi temi dell’attualità … Certo, come no: al sommo fine di coprire l’odore di muffa, di rendere l’aspetto più gradevole, e di cercare di dare una (parvenza di) consistenza alla manifesta inconsistenza, si gioca all’accumulo facile e furbo, giacché si unge l’impasto con dosi massicce di satira posticcia (e inevitabilmente di mesta fattura televisiva) che fa riferimento alle tipiche magagne nazionalpopolari.
Cose viste straviste e rimasticate rigurgitate (in particolare nell’ambito del piccolo schermo): il cardinale poco attento all’anima e molto ai beni materiali e agli “amici” (con tanto di istigazione al divorzio); l’amante giovane bella e stolta; i rimandi alla crisi (tradotti in battutine ritrite e sdegno un tanto al chilo); le bassezze tipiche dei megaricconi arroganti ma vestiti eleganti (dallo sfruttamento dei sottoposti ai fastosi ricevimenti di beneficenza organizzati per darsi un tono impegnato, uman(itari)o ed accontentare i media e la “ggente”); l’inettitudine dell’uomo qualunque mediamente nascosto sotto le (griffatissime) gonne della moglie multimilionaria.
Il resto è noia: la storiella procede per sciatti sciocchi sketch tediando sempre più; con la speranza che, alla fine, tra i due litiganti nessuno venga risparmiato dalla amabile signora con la falce.
Aspirante vedovo spira, finalmente: occorrono un’ottantina (e poco più) di minuti. I titoli coda liberano dalla sgradevole scia di inanità, lasciando una netta incontrovertibile sensazione: il filmetto in oggetto è una roba improponibile. Impresentabile.
D’impressionante pochezza.
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