Regia di Neri Parenti vedi scheda film
Vorrebbe giocare di fino, questo cinepanettone ripulito e restituito a una struttura a (due) episodi da tempo assente dai nostri schermi. Nessuna tetta al vento, niente culi all’aria, nemmeno un momento scatologico. Sono segnali positivi, corroborati da un primo segmento incentrato sulla maschera di De Sica che, in questi prodotti, bene o male funziona sempre. Nella vicenda dello psichiatra che si finge sacerdote per scampare al fisco ci sono gag stracotte come quella del sagrestano muto («Ma non eravate gobbi?»), prevedibili sciatterie registiche (inguardabile la sequenza in kayak), ma anche un certo coraggio nel battere su tasti politicamente scorretti tra gatti che esplodono, preti sessuomani e frecciatine a una Chiesa sempre restia ad adeguarsi alla spending review («Bisogna dare per primi l’esempio»). Ma sono fuochi fatui, spenti dal successivo abbruttimento sugli abituali giochini del corteggiamento fino alla solita morale italiota per cui tira più un sorriso (del pelo nemmeno l’ombra) della Ranieri che la Guardia di Finanza alle calcagna. Sorte ben peggiore per il secondo episodio, con Lillo & Greg a dir poco arrancanti in un corso di (d)istruzione impartito all’ambasciatore Ermete per renderlo co(a)tto a puntino per la pescivendola Adele, borgatara cui presta il volto la prezzemolina cinenatalizia Foglietta. «Se aspettano ancora un po’, ‘sti finocchi me diventano etero»: più che colpi di fulmine, sono colpi di tosse imbarazzati, colpi bassi al buon gusto, colpi di sonno inevitabili. E colpi di grazia a un agonizzante modello di commedia.
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