Regia di Paolo Genovese vedi scheda film
Il quadro di partenza è banale: dal puntale sull’albero alla tavola imbandita, ogni cosa è al suo posto. La torta è fatta in casa, ma la ricetta pare quella del Mulino Bianco. Un momento dopo Castellitto sta ripudiando il figlio minore perché miope e sovrappeso, e scopriamo di trovarci nella versione mobile del Presepe Vivente. I commensali sono attori di una compagnia teatrale: assoldati da un eccentrico committente per interpretare i membri della sua famiglia inventata. L’atmosfera natalizia è sempre un copione di 24 ore, che attraversa la parabola degli Incidenti per giungere alla meta delle Riconciliazioni. Genovese non stravolge il canone, lo rimesta. Eppure, mettendone apertamente in scena le dinamiche rituali, scopre i nervi della Festa: così la commedia passa dal thriller psicologico, con il rapitore che sadicamente vorrebbe scatenare l’umanità frenata delle sue marionette e gli ostaggi che finiscono per sviluppare la Sindrome di Stoccolma. Teso, puntellato di agghiacciante cinismo su rassicurante tappeto musicale dicembrino, il film fa ridere spesso a denti stretti. Man mano che il motivo della recita passa in secondo piano, anche perché ne è il punto più debole: asciuga le note dissonanti & dissacranti in un epilogo consolatorio. L’idea è mutuata da Familia, 1996, di Fernando León de Aranoa, ma ha il merito di ispessire le pareti consunte della nostra produzione stagionale.
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