Regia di Paolo Genovese vedi scheda film
La finzione diventa parte della realtà. Ed è allora che l’ipocrisia tira un sospiro di sollievo, lieta di poter finalmente uscire allo scoperto, senza bisogno di nascondere la sua natura subdolamente ambigua. Con la recitazione essa diventa un mestiere, un servizio a pagamento, o magari un regalo che a qualcuno può risultare di conforto. Quando cessa di essere un utilitaristico sotterfugio, la menzogna può trasformarsi in un generoso beneficio, un rimedio alla solitudine, all’amarezza del vivere, all’incapacità di sognare. Leone, d’altronde, non inventa nulla di nuovo. Ingaggiare una compagnia di attori affinché, alla vigilia di Natale, interpretino per lui la parte di quella famiglia che non ha mai avuto, è un’idea presa in prestito dai meccanismi della società umana, dagli accordi della politica, dalle leggi dello spettacolo, dai bassifondi della prostituzione. Essere un altro è un esercizio comunemente praticato, quasi sempre con un preciso tornaconto, che, solitamente, è condiviso da ambo le parti, dal commediante come dallo spettatore. Entrambi fruiscono della temporanea sensazione di una felicità certo fittizia, però in compenso libera, svincolata dall’obbligo di durare nel tempo e di dover essere convertita in un impegno concreto. L’esperimento è davvero privo di limiti se rimane fine a se stesso, senza doversi tradurre in un progetto a lungo termine, senza doversi sottoporre a verifiche e rese dei conti. Nello spazio di un giorno si possono concentrare tutte le possibilità, passando tranquillamente attraverso il rischio e l’errore, e accettando di buon grado anche gli imprevisti più bizzarri. Ben poca cosa è, per quei parenti a noleggio, la preoccupazione di svolgere bene il loro compito, rispetto alla tensione che accompagna, per anni ed anni, coloro che si trovano nel dovere di far funzionare un matrimonio, o di essere dei bravi genitori. Leone partecipa ed assiste a quella tentata perfezione costruita a tavolino, che pure cade in contraddizione e scricchiola, come se tutto fosse spontaneo ed improvvisato. Il punto è che non esiste programma che regga, nemmeno a brevissima scadenza. Constatarlo lo consola, lui che non ha voluto assumersi alcuna responsabilità, e perciò è rimasto isolato, ad immaginare ciò che non riusciva a capire. Ipotesi sconosciute che ha bisogno di vedere messe in scena. Condizioni che deve toccare con mano, prima di poterle valutare. Il suo teatrino natalizio, che corrisponde ad un preciso copione, è il collaudo di quanto, molto tempo fa, ha deciso di rifiutare. Una vita diversa, in cui in effetti anche gli altri, che ci si trovano immersi per contratto, fanno fatica a far quadrare i conti. Anche se tutto è scritto, le emozioni e gli equivoci ci mettono continuamente lo zampino, facendo saltare i nervi, seminando un po’ a caso intese e antipatie, rimescolando il fondo della coscienza, con tutti i rimpianti, i rimorsi, i vecchi rancori che vi giacciono sepolti. Il film di Paolo Genovese mostra in maniera straordinariamente fluida la continuità tra gli autentici tumulti dell’anima ed i più banali intoppi organizzativi. Del resto, ogni festa che si rispetti è un misto di sincerità ed esibizione. I ruoli sono fondamentali, ma sono difficili da mantenere. E, quando capita di uscire dalla parte, non si sa mai se è per incapacità o debolezza, o piuttosto, invece, per un inatteso moto di coraggio.
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