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Una famiglia perfetta

Regia di Paolo Genovese vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Una famiglia perfetta

di alan smithee
7 stelle

“Questa non è vita vera, è recitazione” – “Per me la recitazione è la vita vera”.
In questo efficace concitato scambio di battute tra un capocomico affannato perché tutto proceda “come da copione” e una giovane ribelle attrice di belle speranze, si  caratterizza il fulcro nevralgico di questa bella ed inattesa sorpresa italiana natalizia, che spicca pressoché solitaria quanto a qualità e soddisfazione che regala a chi ne prende visione, tra le poco rassicuranti altre alternative, specialmente italiane, di questo ennesimo e almeno parzialmente deludente Natale cinematografico.
Un film brillante ricco di spunti, che  punta anche sull’incapacità di prendersi le proprie responsabilità, sulla necessità di porre rimedio ad una solitudine scelta e deliberata, ma anche patita, sulla bieca tendenza ad approfittare delle debolezze altrui per trarne situazioni di vantaggio; ma anche su come la realtà non sia così molto distante dal teatrino meticolosamente costruito da un misterioso potente uomo solitario e dispotico (un grande Castellitto in un ruolo finalmente degno della sua prestanza scenica) su un copione che è ben più di un canovaccio e che costringe una compagnia di attori allo sbaraglio a improvvisazioni spesso azzardate con le quali rischiare di compromettere tutta la messinscena ben retribuita.
Infatti la commedia che va in onda è quella della festa del Natale in famiglia, della tradizione più ostentata e scenografica, dove ognuno dei membri della scombinata compagnia ha un preciso ruolo da ricoprire, che gira attorno alla figura centrale del capofamiglia, burattinaio di un teatrino spesso drammatico, talvolta incalzante come un giallo da camera di Agatha Christie, ove la scena si anima di cattiverie, meschinerie, soprusi e sottili malignità che daranno modo ad ognuno, nel ricoprire il proprio ruolo più o meno complesso o sfaccettato, di confrontarsi con la dura vera realtà della propria situazione precaria, ma vera e reale.
E dunque un capocomico (il grande Giallini sempre più bravo) che interpreta con la consueta scanzonata verve ed una ironia che non rinuncia ad un acuto sottofondo doloroso, la fine del suo matrimonio; una moglie (Gerini ottima come sempre ultimamente) che approfitta della situazione per stilare un bilancio della propria vita di donna irrisolta e che nasconde una sorpresa che è inutile svelare, una presunta amante (la bella e triste Crescentini) che scopre con amarezza quanto la coppia che stava scoppiando a causa sua in realtà sia ancora così unita ed affiatata; due ragazzi giovani, belli che si rifugiano nei loro mondi per trovare una risposta che li valorizzi e dia loro fama e notorietà, visto che ormai la bellezza è un traguardo troppo comune a tanti e la bravura serve meno del saper apparire e gestire le banalità che tanto piacciono ai fruitori di programmi televisivi odierni (due giovani interpreti molto validi, in particolare l'esordiente o quasi Eugenio Franceschini, gradevole aspetto, bella voce, notevole sensibilità); due fratello-e-sorella di una finzione che devono affrontare il sentimento ben diverso e tutto concreto che li attrae l’un l’altro; una anziana vecchia gloria del teatro (Occhini, grande donna) che si adatta ancora forte e per nulla arrendevole alle curve più impegnative di una vecchiaia che non le concede l’indipendenza e la serenità agognata e probabilmente meritata; ma ancora la competitiva lotta tra due bambini diversissimi, uno grassottello e bruttino ma orgoglioso, l’altro bello e “professionista” come un killer, che cerca (ed in parte riesce) a soffiare la parte al primo, per relegarlo al ruolo di figlio adottivo. Infine Francesca Neri, secondo spettatore, non preventivato e fuori copione, che vive una vita di compromessi e finzioni fin più artefatta della messa in scena a cui inconsapevolmente sta assistendo. Il suo bel ruolo, di contorno ma tutt’altro che banale, ricorda una simile efficace apparizione dell’attrice nel film di Avati di qualche anno fa “La cena per farli conoscere”.
Alla riuscita del film corale che ricorda pure certe ultime commedie affollate di caratterizzazioni di Monicelli, contribuisce pure una regia attenta di Paolo Genovese che lascia spazio a ogni personaggio per crearsi una sua ragione d’essere, e che cede solo in parte nel finale con una certa tendenza incontrollata ad accumulare situazioni anziché risolverle. “Una famiglia perfetta” è dunque, per qualità intrinseche, recitative e di buona scrittura, il vero, ideale, degno film italiano del Natale 2012 del riscatto (cinematografico) dopo anni di “cinepacchi”, e lo dico con (presuntuosa) certezza anche senza aver visto (ne conservo sufficienti buone motivazioni per non farlo) l’agguerrita spavalda concorrenza rappresentata da una scalcinata squadra sinteticamente riassumibile in “Laqualunque colpo di fulmine dei soliti idioti”. 
 

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