Regia di Luc Besson vedi scheda film
Se è vero che scegliamo di mangiare solo lo 0,25% del cibo commestibile disponibile sul pianeta, non sorprende vedere al cinema una portata così tipica, una ricetta così priva di fantasia, un piatto cucinato solo per godere della sua gustosa, rassicurante prevedibilità. Tratto dal romanzo di Tonino Benacquista, ristampato per l’occasione con il titolo del film, Cose nostre - Malavita racconta di una famiglia mafiosa d’origine italiana e vissuto newyorkese, costretta a fare la specie protetta (quella degli informatori) in Normandia. Ne consegue l’inevitabile scontro caricaturale tra culture, il corollario di ovvi e fumettistici effetti collaterali, il gioco degli equivoci fatto di gag ciniche e amorali. Besson - lontano da quella folle ipotesi di romanticismo parapubblicitario chiamato cinéma du look così come dalle remunerative vie al blockbuster europeo - coltiva la sua propensione per una commedia stilizzata di facile consumo, proponendosi come classico professional e offrendo al produttore Scorsese un’operetta gentilmente parodica, in cui cita Quei bravi ragazzi e s’affida al gioco d’attori per ridere di cosa nostra. Un gioco a cui De Niro aveva già partecipato (passando da Mean Streets e Il padrino - Parte II a Terapia e pallottole e seguito) così come, con più grazia, lo aveva fatto la Pfeiffer (con il doppio segno di Una vedova allegra... ma non troppo). Ne risulta una sfiziosità di comicità elementare, un episodio pilota che accompagna I Soprano verso la sitcom, tipologia famiglia Addams sotto il segno di Capone. Buona digestione.
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