Regia di Sergio Rubini vedi scheda film
Voto: 8
Questa commedia diretta da Sergio Rubini (e dal medesimo co-sceneggiata) si presenta come prodotto vagamente sofisticato e sicuramente non banale. Forse rimarrà deluso quel pubblico da multisala che si aspetta quel genere di film comico cui negli ultimi tempi ci avevano abituato, diciamo quei "cinepanettoni democratici" trainati dalle presenze delle Littizzetto, delle Finocchiaro o dei Bisio. Perchè questo film è decisamente più pretenzioso, leggero ma anche impegnativo, potendo contare su una sceneggiatura "a congegno", semplice ma fino ad un certo punto. E non poteva essere altrimenti, con alla regìa un cineasta di sostanza come Rubini. Un uomo di cinema senz'altro molto speciale nel nostro italico panorama. Devo confessare di avere conoscenza limitata e lacunosa circa la sua filmografia, ma sufficiente da poter affermare che Rubini, nella sua ormai lunga carriera, non ha mai realizzato prodotti scadenti o approssimativi. Certo, non ha diretto film tutti allo stesso livello, ma sempre caratterizzati da un certo impegno e in nessun caso banali. E d'altra parte è noto che il Maestro Fellini aveva una simpatia per questo ragazzo pugliese, e riportare nel proprio curriculum l'aver lavorato col Maestro non è dettaglio da poco e non sono tanti i giovani cineasti che possono farsene vanto. Personalmente, lo devo dire, ho un ricordo affettuoso che mi lega a Rubini, ricordo che si perde nella notte dei tempi. Eravamo circa a metà degli anni 80, su Raiuno ogni giorno alle 18,30 andava in onda "Italia Sera" presentato se ben ricordo da Enrica Bonaccorti, e a un certo punto c'era un siparietto umoristico che simulava la conduzione di un ipotetico sgangherato tg, affidato a questo tizio (mai visto prima in tv). Era un Rubini giovanissimo, forse un pò impacciato ma simpatico nel non nascondere affatto il suo accento pugliese. Da quel "numero" che era (immagino) il suo debutto assoluto in pubblico di acqua ne è passata parecchia sotto i ponti, e quello che si proponeva come "nuovo comico" ha evidentemente studiato, è cresciuto fino a diventare un uomo di cinema completo e di sicuro spessore. Lui è sempre stato un cineasta inquieto, curioso, sempre pronto alle sfide, uno a cui non è mai piaciuto "vincere facile". Sicuramente Rubini possiede una sua intima chiave di lettura dell'umanità, eppure io sono convinto che egli non sia ancora riuscito ad esprimere compiutamente, come artista, la sua visione umanistica del mondo. Il film è una deliziosa sophisticated comedy, garbata (forse troppo per il pubblico da multisala che prima evocavo) e divertente. Anche se con un limite di fondo che più d'un critico ha evidenziato: il non decidere mai se far prevalere la commedia dai toni sofisticati oppure la farsa e il senso del grottesco, consegnando l'impressione di un lavoro non abbastanza incisivo. A favorire il lato "sofisticato" ci sono piacevoli riferimenti a opere storiche in ambito di commedia americana classica, come "Il cielo può attendere" di Lubitsch o "La vita è meravigliosa" di Frank Capra. Richiami dunque assai nobili, che aggiungono valore (oltre a qualche pretesa autoriale) ad un prodotto che non cerca a tutti i costi il consenso del pubblico. La vicenda ci parla di un uomo mediocre e depresso che decide di suicidarsi, seppure in circostanze grottesche. Dopo il trapasso, costui, sottoposto al Giudizio Supremo, viene rispedito sulla Terra a tempo determinato, ma sotto le spoglie di una specie di guru dell'alta finanza, il che gli darà modo di vendicarsi delle tante umiliazioni subite in vita dal suo storico rivale. Come si può intuire, ci sono tutte le premesse per una serie di gag, imperniate sulla più classica commedia degli equivoci; il tutto all'insegna del buon gusto in una pochade che evita furbizie o ammiccamenti. Un "teatrino" che riesce a divertire senza ricorrere ad alcuna volgarità. Quanto al cast, niente da eccepire, ma -senza nulla togliere alle brave Margherita Buy e Vanessa Incontrada- sono i tre protagonisiti ad imporre la propria qualità professionale, cavandosela ciascuno con disinvolta brillantezza: Neri Marcorè, Lillo ed Emilio Solfrizzi (quest'ultimo decisamente il migliore dell'affiatato terzetto). Per inciso, Rubini si ritaglia la possibilità di un gustoso cameo, nel quale peraltro dà l'impressione di divertirsi parecchio. In definitiva, un film da vedere, ma predisponendosi ad una visione in cui più che ridere, si sorride. E anche parecchio.
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