Regia di Sergio Rubini vedi scheda film
All'undicesima prova da regista (se ho contato bene), Sergio Rubini prosegue nel segno della commedia, genere che ha sempre in qualche modo caratterizzato le sue direzioni: una vicenda leggera anche stavolta, ma pure ambiziosa e con una struttura piuttosto complessa (vengono in mente, restando in tema di ambizioni, le ineguagliabili, perfette e pure complesse commedie senza tempo di Frank Capra) che vede fra l'altro avvicendarsi personaggi più disparati, dove il protagonista prenderà il posto di un altra figura solo apparentemente secondaria, mentre altri ruoli di contorno si rivelano presto non meno importanti o necessari per lo sviluppo della vicenda.
Una storia surreale comica ma anche amara, che parte dal presupposto che spesso la vita ci affligge di amarezze dovute al fatto di sentirci sempre inadeguati o inferiori a qualcun'altro, magari succubi sempre di una stessa persona che finisce per tutta una vita per metterci sempre nell'ombra, fagocitando tutto ciò che di buono la nostra creatività e il nostro talento riescono a creare, e trasferendolo inesorabilmente a vantaggio di quei rapaci oppressori dei nostri eterni rivali. Per questo motivo Biagio Bianchetti decide già nell'icipit di farla finita, arrendendosi alla ineluttabile legge di vita che lo vuole eternamente sottomesso al più fortunato, brillante e intelligente (almeno così appare) Ottone di Valerio. Per questo già a pochi minuti dall'inizio del film la storia si trasferisce in un aldilà decadente e farraginoso che Rubini rappresenta, con un certo estro da autore navigato, come un centro di smistamento, come un vecchio albergo demodé che ricorda quello di Oci Ciornie dove i nuovi arrivati vengono assegnati ognuno al proprio destino e al livello che si sono meritati nella vita terrena: salvo casi eccezionali, come quello di Biagio, a cui viene concesso - per fugare certi dubbi sopraggiunti e motivati - un ulteriore periodo di prova di una settimana sulla Terra per verificare se il livello infimo a cui è assegnato, è davvero quello che si merita.
Il ritorno all'origine, ma in un ruolo diverso da quello originario, consentirà al protagonista di organizzare dapprima una sana ed umanissima vendetta definitiva contro il suo rivale; in un secondo momento e più a mente fredda, invece lo stesso capirà che non tutto ciò che sembra perfido e cattivo lo è poi davvero e necessariamente. Nel contempo maturerà anche e con una certa amarezza, la consapevolezza che certe inevitabili meschinerie sono davvero insite nell'animo di ognuno di noi. Gli spunti divertenti e semiseri abbondano, i duetti di due attori straordinari come Neri Marcoré ed Emilio Solfrizzi (oltre che la solita splendida insicura Buy) salvano molto spesso dalla deriva di qualche passo falso o forzatura di troppo che una sceneggiatura anche elaborata - occasione per riunire Rubini con Umberto Marino dopo il tempo ormai lontano del bell'esordio de "La stazione" dei primi anni '90 - non riesce proprio ad evitare nonostante gli sforzi e l'innegabile abilità di tener uniti tanti personaggi e situazioni senza sfilacciare troppo il senso della vicenda.
Certo non ci troviamo di fronte ai migliori esiti di quell'esordio registico timido ma importante sopra accennato, né di fronte al livello di quell'altra bellissima commedia surreale che fu "L'anima gemella", né in balia della controllata perfidia ordita ne "La terra": tuttavia Rubini, che come spesso accade si ritaglia un ruolo secondario ma di estrema e strategica importanza (l'angelo che dirige la missione correttiva concessa al protagonista), riesce a conferire ad un film imperfetto e non sempre perfettamente scorrevole, quel valore aggiunto e quella dignità proprie delle commedie anche leggere, ma che riescono a nascondere tra le pieghe della loro scanzonata goliardia, tra i tic della mediocrità dei personaggi che le popolano, un messaggio più che serio che ben si adatta ai nostri spesso egoistici e beceri stili di vita volti ad assicurarci il sopravvento sugli avversari.
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