Regia di Jean-Luc Godard vedi scheda film
Quella di Prénom Carmen è un'altra storia che fatica a svilupparsi, un altro plot ed un altro spunto di partenza (la Carmen di Bizet) che si perdono nei meandri della (anti)narrazione di Godard, come nei precedenti Passion e Sauve Qui Peut (La Vie).
Cosa viene prima del nome? Un nome definisce, mette ordine (non a caso, "ordet" significa "parola"), o così dovrebbe essere.
Ma se il significante ha perso i contatti con il significato, allora la parola è generatrice di caos, è inutile e vuota.
Sia Kaj Munk che Dreyer lo sanno molto bene, è uno dei temi che carsicamente scorre sotto i comportamenti delle due famiglie di Ordet, apparteneneti a diverse professioni di fede che si scontrano su dispute teologiche, riempiendosi la bocca di parole e perdendo di vista la Parola nonché la fede stessa (in Ordet ci sono tantissime allusioni allo scontro tra pietisti, grundtvighiani, razionalisti. Al contrario, nel Johannes rinsavito e nei bambini abbiamo una fede "kierkegaardiana", più personale, autentica, poetica).
Godard porta avanti una riflessione laica sulla parola oggi, in una società che la priva di significato, e mette in scena lo scontro tra ordine e disordine con ironia e leggerezza.
Da un lato abbiamo la musica, le prove del concerto, i Quartetti di Beethoven e Ruby's Arm di Tom Waits: la musica è ciò che viene prima del nome, è il logos, l'armonia. La ragazza di Joseph (l'equivalente del Don Juan nell'Opera), o aspirante tale, è una concertista. Joseph la ripudia poiché troppo diversa da lui, che invece è impulsivo e tende a improvvisare, caoticamente e tragicamente.
Dall'altro lato abbiamo la Carmen del titolo e il suo mondo, un'accozzaglia di pseudo-terroristi (simili a tanti altri ridicoli "sovversivi" del cinema godardiano) che agiscono senza un vero perché. Lei stessa si presenta come "quella che non dovrebbe chiamarsi Carmen". Se la protagonista dell'Opera infatti era una dominatrice, una manipolatrice, una vamp ante litteram, quella del film è più simile ad una femme fatale, una ragazza che agisce senza logica, in base al puro sentire del momento (ripete sempre "non lo so", rimanda sempre a domani), facendo innamorare più di un uomo e causando la sua stessa fine (chiunque nella vita abbia avuto a che fare con una donna del genere sa quali ferite possa lasciare in un uomo. L'autodistruzione finale al contario sembra più un'invenzione tardo ottocentesca e borghese per impaurire qualche Madame Bovary di turno).
Della Carmen di Bizet, ironicamente, rimane solo un motivetto fischiato in un bar, il finale, uno spunto iniziale, ed un nome. Un nome vuoto e insignificante.
"Come si chiama quando abbiamo da una parte i colpevoli e da una parte gli innocenti?" chiede Carmen più volte, senza, coerentemente con il suo carattere, ricordare la risposta. Sembra non esserci aurora, l'equivalente laico di un giudizio universale, nel Godard sociologo del mondo contemporaneo, se non fosse che, almeno nei suoi film, almeno nel suo stile, il segno torna prepotentemente a trovare un significato, mentre il suo cinema si fa composizione musicale di fronte ad un altro cinema (diciamo "della parola") che non comunica più niente.
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