Regia di Philipp Stölzl vedi scheda film
Il regista tedesco Philip Stölzl si cimenta per la prima volta in una produzione con larga influenza nordamericana e perde per strada quanto di buono mostrato nelle sue prime prove, su tutte North Face. Una storia vera.
The expatriate verte su una cospirazione internazionale che accentua le posizioni delle parti in gioco senza ritagliarsi validi coni d’ombra, puntando quasi esclusivamente sull’azione, senza che quest’ultima possegga soluzioni di prima mano, a discapito di una costruzione minuziosa.
Dopo essere rimasto vedovo, Ben Logan (Aaron Eckhart) ha lasciato la Cia per trasferirsi a Bruxelles e seguire da vicino sua figlia (Liana Liberato), assumendo un incarico di primo livello all’interno di una multinazionale addetta ai sistemi di sicurezza più evoluti.
Quando si accorge di essere stato manipolato, è ormai troppo tardi e per salvare sua figlia dovrà fare ricorso a tutte le sue abilità senza potersi fidare (quasi) di nessuno.
Un uomo comune, con figlia da salvare, invischiato in un complotto più grande di lui. Sembra una sorta di revisione di Taken, ma Aaron Ekchart non è Liam Neeson, per quanto la sceneggiatura faccia ricorso a espedienti non troppo dissimili.
Con una base di questo tipo, si parla inevitabilmente di un prodotto minore, che vede le mani americane in giro per l’Europa e il grilletto facile, ma quando la trama s’infittisce, emergono ulteriori limiti.
L’azione diventa prominente, pur non avendo caratteristiche tecniche da tramandare, ma l’uomo comune, per quanto non lo sia fino in fondo (altrimenti non avremmo il film), fa il suo effetto e l’ambientazione a Bruxelles richiama anche eventi postumi che facilitano l’accesso al subconscio, risultando propedeutici.
Ciò nonostante, il prodotto in questione rimane obsoleto, soprattutto per colpa di una sceneggiatura costruita a colpi di ascia, per cui i grandi temi su cui si potrebbe discutere, come l’essere malfidenti su tutto e la crisi di sicurezza che sembra poter coinvolgere chiunque, non assumono l’energia auspicabile.
Di fronte ad automatismi sbadati, ai quali nemmeno una regia prodiga d’intenti riesce a mettere un freno, The expatriate assume la fisionomia di un prodotto velleitario, che si muove nel solco dell’energia cinetica, trovandosi a disagio quando nell’aria s’intuisce il bisogno di una pausa di riflessione per apporre qualsiasi tipo di approfondimento.
Narrativamente negligente, senza nemmeno stupire quando movimenta tutte le pedine a disposizione.
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