Regia di Woody Allen vedi scheda film
Questo film va visto come è, liberando la mente da aspettative montate su dal Woody Allen che sarà. Niente aforismi fulminanti, niente filosofie di vita, nessun attacco alla morale. Lo stile è alla Monty Python, cioè sta tra il demenziale e il grottesco in una assurda concatenazione di eventi tenuti insieme da una narrazione fuori campo in stile vite maledette. Certo va contestualizzato, insomma era il finire degli anni sessanta e negli Stati Uniti imperversava la contestazione. Allen, non certo insensibile alle cronache dell'epoca, offre una pausa da tutto questo o forse, invece, a volerci leggere qualcosa di più profondo, attacca anch'egli alle radici il sistema stelle e strisce montando su, gag dopo gag, lo strampalato tentativo di un nato perdente e perdente nato di trovare un posto nella società in cui vive; non potendolo fare secondo i canoni dello Zio Sam, lo fa a modo suo, con esiti penosamente esilaranti. La stessa istituzione familiare viene sia messa sotto accusa, con il perbenismo dei genitori scossi dal figlio scapestrato, sia coccolata, con la dolcissima unione fra il protagonista e una giovane finta ingenua ragazza negata per le faccende di casa, unione dalla quale nasce un bimbo meraviglioso. Insomma, per me vale e il talento si vede tutto: sembra un film girato con una mano legata dietro la schiena ma no, non lo è per niente.
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