Regia di Agnès Jaoui vedi scheda film
Tra l’exploitation hollywoodiana per adolescenti (uno per tutti: il crossover di Hansel & Gretel. Cacciatori di streghe 3D) e le rivisitazioni autoriali del cinema europeo (a partire dal Miguel Gomes di A cara que mereces sino ai progetti Arte di Breillat e De Van, e poi Bellocchio, Fedorchenko), la fiaba ossessiona il cinema contemporaneo. Come se questo fosse alla ricerca di una magia primordiale di cui riappropriarsi, vuoi per mortificarla con ironia terminale nel gore, vuoi per ritrovare negli archetipi morali politiche attuali, vuoi per scavare a fondo negli inconsci di culture. Jaoui e Bacri, ispirati da Into the Woods di Stephen Sondheim, mettono in scena le schermaglie esistenzial-sentimentali di un gruppo di personaggi, guardano alla fiaba per riflettere (in forma di nervosa e corale commedia agrodolce) su quel che significa «credere»: ci sono frammenti di discorsi amorosi e paure, illusioni e disillusioni, nichilismo e superstizione a intrecciarsi in un film dove le streghe cattive usano il silicone, i re sono industriali, i lupi critici musicali, figlie viziate principesse, e via elencando. In stereotipi ironici che a tratti s’innalzano dal semplice bozzetto. Al solito elegantemente acuto nella scrittura, oggi anche ludico nella messa in scena (con gusto - tra modellini e parentesi musicali - per il meticciato linguistico), il cinema della Jaoui rimane qui un raffinato esercizio vacuo, un piacere etereo, leggerissimo. Perché se ci sono morali, tra queste schegge di fiaba aggiornata, non ce n’è alcuna in vero dialogo con l’oggi.
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