Regia di Catherine Hardwicke vedi scheda film
Il tormento femminile piace alla Hardwicke. Tutte le sue pellicole, eccezion fatta per Lords of Dogtown (2005), sono tutte incentrate sui dolori, le angosce, i tormenti, le passioni e i piaceri del giovane mondo femminile. Un eterno femminino su cui la regista s’è soffermata con indolenza senza avere lo stile e la profondità, e nemmeno la sfacciata sfrontatezza di un ipotetico cinema verità, che aveva avuto con Thirteen (2003) e appunto con Lords of Dogtown. Dopo di che, inanella solo flop, nonostante la spinta commerciale del primo Twilight (2008). Per la serie: non basta la camera a mano per fare un film figo.
In Plush gioca la carta del cambio di rotta raccontando una storia di maledizione creativa, genio e sregolatezza, inclinando tutto verso il nero pesto dell’universo dark, tra giovani emo dalle passioni masochiste e tutto un coté punk-gothic di interni, vestiti, oggettistica varia e stile di vita. Ma non bastano le molte scene di sesso castrato, lunghe piste di cocaina, vita sballata da rockstar, il culo di Xavier Samuel – recidivo – e qualche cintura di troppo legata ai polsi per parlare di thriller erotico o per pensare di aver raccontato una storia maledetta dal forte impatto visivo e contenutistico. La regista scivola clamorosamente sugli stereotipi, separando nettamente le tenebre dalla luce. Il manicheismo con cui sono tracciati i due personaggi polari di Cam Gigandet e Xavier Samuel, il primo bello, pulito, biondo, occhi azzurri, padre premuroso, marito innamoratissimo, il secondo invece scuro, tinto di nero pece, ambiguo e torbido e soprattutto molto psicolabile, non aiuta a raccontarne la complessità e risulta comunque puerile come lettura anche per un racconto esemplare. Il finale, poi, che decreta la vittoria dell’amore pulito e biondo, rilegando al mondo della morte tutto ciò che era sacrilego ed immorale, è la sviolinata finale che chiude una rassegna incolore – come lo monocromia dell’ambiente emo – di luoghi comuni.
Si salva solo Xavier Samuel che nonostante il suo personaggio sia un unico cliché – emo sadomasochista, gay o bisessuale irrisolto, ambiguo e lascivo, dal passato tormentato, sociopatico e schizofrenico – riesce a conferirgli una spontaneità a cui non ci aveva ancora abituati, per poi rovinare tutto – forse per colpa della sceneggiatura – con slanci di un istrionismo macchiettistico che tolgono credibilità al suo personaggio e allontanano il consenso del pubblico.
Attore interrogativo, Xavier Samuel non ha ancora trovato il posto giusto nel panorama cinematografico. Mentre Gigandet ha potenzialità inespresse a causa della sua bellezza e della sua fisicità che lo rilegano a ruoli accomodanti – felici eccezioni sono il Volchok di The O.C. (2005-2006) e l’antagonista fisico di Sean Faris in Never Back Down (2008) – Xavier Samuel, pur sfoggiando una notevole, ma imperfetta presenza fisica, è altalenante. La discontinuità delle sue performance ci interroga. Inizia coerentemente con una serie di pellicole australiane, indipendenti, dal forte appeal visivo, tra horror e teen-drama mai banali, per passare poi, attraverso la porta spalancata di Twilight: Eclipse (2010) ad una serie di titoli, quasi tutti sempre australiani, in cui non solo i film stessi non colpiscono nella resa finale, ma anche i suoi personaggi e soprattutto le sue performance sembrano vivere di una certa isteria attoriale, alternata da momenti di rara intensità e freschezza e altri invece di palese gigioneria. Dalla sua c’è la disponibilità di mettersi in gioco in produzioni tutte australiane senza ascoltare le sirene di Hollywood – ammesso che suonino – e il fatto, non da poco, che è sempre fottutamente in parte. Non bellissimo, ma con stile; fisicamente sproporzionato, ma tonico quel che basta per riempire la scena e creare interesse intorno ai suoi caratteri, Xavier Samuel è sempre in parte, riesce a catturare l’attenzione con le sue smorfie eccessive e con gli imprevedibili slanci di generosità performativa dei suoi personaggi. Purtroppo, non si capisce bene, a questo punto della sua carriera, cosa sia o cosa non sia. Certo, riesce a fare la differenza.
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