Regia di Lee Daniels vedi scheda film
Polpettone liberal ai tempi di Obama, The Butler vorrebbe essere l’epopea umana onestamente antirazzista di un umile servant black che, alla fine della presidenza Eisenhower, entra nel parco domestici della Casa Bianca, restandovi per più di trent’anni e sotto una mezza dozzina di commander in chief. Il film si districa tra le turbolenze casalinghe della famiglia del maggiordomo, in cui si riflettono le ansie e le rivendicazioni della comunità nera americana, e qualche colloquio con i presidenti, che naturalmente si confidano col discreto e pacato protagonista.
The Butler si pone due obiettivi: da una parte è il racconto psicologico di un ex schiavo emancipatosi dalla crudeltà ma tutto sommato sempre al servizio di qualcuno, nonché espressione di ciò che i bianchi vogliono che sia i neri, ovviamente sottopagati rispetto ai primi anche negli anni ottanta (il conflitto col figlio nasce proprio da questa mancanza di parità); dall’altra è una lettura della storia dal di dentro, tra Kennedy imbottito di farmaci a Johnson che decide le sorti del mondo mentre è al bagno fino a Nixon alcolizzato e paranoico e Reagan bonaccione.
Mai davvero interessante soprattutto per come racconta una storia sulla carta interessante, è un classico e un po’ ruffiano spettacolo per masse pensanti in cui tutto appare noiosamente al proprio posto, senza un guizzo né un volo poetico, piatto e vagamente posticcio. Sì, Forest Whitaker dà una buona performance, ma francamente non si crede un attimo allo stuolo di star mal truccate al netto del mestiere che sfoderano con consumata nonchalance. Oprah ha tentato in tutti i modi di spingerlo (e spingersi) per gli Oscar, senza considerare che quello era l’anno di 12 anni schiavo.
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