Regia di Lee Daniels vedi scheda film
Lee Daniels non è la prima volta che affronta il problema della discriminazione razziale. Nel pregevole “Precious”, anche se non apprezzato da tutta la critica, aveva trattato delle difficoltà che incontrano le persone di colore ancora nella vita di oggi, specialmente nell’ambito di quei quartieri malfamati dove il problema principale è sopravvivere in maniera decente, dove l’unico sostentamento viene spesso da attività illecite. Con quel film il regista riuscì a toccare il cuore degli spettatori e fece commuovere anche a causa della drammatica storia della sfortunata Clareece. Questo film è invece un vero e proprio biopic, allargato anche nell’ambito familiare del protagonista, che abbraccia l’intera vita del protagonista e si sa che con queste storie, che diventano delle vere saghe familiari, si rischia sempre. Facilmente si cade nella retorica e nella lunghezza della narrazione. Nella prima Daniels ci è cascato intero, la seconda è stata un tranello che non ha saputo evitare non nell’intera opera quanto nella dilatazione di alcune sequenze, dove si è inutilmente dilungato. Episodi singoli trattati più brevemente avrebbero dato più snellezza alla trama.
Ma questo non è il difetto principale del film, che purtroppo è viziato da una sceneggiatura scritta con dialoghi troppo banali e che per lunghi tratti pare perfino troppo didascalica, troppo caratterizzata dalla figura tradizionale del “negro” iconografico.
La regia raramente ha impeti, mai un picco di cinema da ricordare. La piattezza della direzione si riversa quindi anche nelle interpretazioni dei tantissimi attori, nonostante l’impegno immenso che vi ha riversato il solito bravo Forest Whitaker, che qui ha dovuto lasciare in cucina buona parte dei suoi chili, dovendo sembrare prima più giovane e alla fine della storia più anziano e malandato. Ma se lui fa la parte del leone, interpretando il maggiordomo più famoso nella storia della Casa Bianca, Cecil Gaines, che ha conosciuto e servito ben sette Presidenti d’America e ricevuto da tutti loro i migliori apprezzamenti per i suoi ineccepibili servizi, Oprah Winfrey è invece quella che ha ricevuto i migliori giudizi positivi. La moglie del perfetto e rispettoso cameriere interpretata dalla notissima conduttrice/attrice in molti momenti ha ricordato la inquietante e famigerata Mo’Nique mamma di Precious, a causa dello stesso carattere scontroso e dell’identico baratro alcolistico in cui naviga per molti anni, per poi redimersi e accorgersi che la moglie di un cameriere così importante doveva essere solo paziente.
Il pregio maggiore del film sta nel modo in cui Lee Daniels riesce a rendere l’idea dell’acceso razzismo che animava quei difficili anni. Anche se con passaggi veloci (ne sarebbe scaturito altrimenti una serial TV), sfilano personaggi famosi per la battaglia per i diritti civili: da James Lawson a Martin Luther King, dal KKK ai bianchi che non accettavano che i neri sedessero vicino a loro. La discriminazione razziale è quindi in primo piano e la stima, che il sereno e quieto Cecil Gaines guadagna con la sua dedizione dai vari Presidenti che ha servito, accompagna di pari passo la conquista dei diritti civili e l’accettazione da parte dei bianchi della parità sociale.
La fortuna del film è dovuta principalmente alla fama che lo ha preceduto e dall’entusiasmo con cui anche il Presidente che si intravede alla fine della pellicola, Obama, ha accolto l’intera operazione.
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