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The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca

Regia di Lee Daniels vedi scheda film

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La recensione su The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca

di alan smithee
6 stelle

Lee Daniels era il regista probabilmente più pertinente, per stile e tematica trattata, ad adattare sullo schermo la storia vera del maggiordomo più celebre e longevo al servizio della Casa Bianca di tutto il '900. Peraltro la sede presidenziale statunitense, centro indiscusso del potere e fulcro delle decisioni strategiche più importanti per le sorti del pianeta, è oggi più che mai al centro di sceneggiature per il grande schermo, che la vedono spesso minacciata da attentatori senza scrupoli ed organizzatissimi che arrivano a distruggerla o comunque a violarne l’indiscussa impenetrabilità.
Qui, per fortuna, calpestiamo altri territori, sorvoliamo l’America rurale dei primi decenni del ‘900 quando la schiavitù era ancora, specie negli stati del meridione, un fenomeno diffuso, condiviso e ben accetto da parte del ceto dominante dei proprietari terrieri. La nostra storia parte dagli anni ’20, quando in un campo di mais un giovane bianco “padrone” uccide a sangue freddo il padre di un piccolo schiavo, dopo aver abusato della moglie del primo e madre di quest’ultimo.
Questo spietato e terribile episodio tuttavia consente al piccolo di assicurarsi l’ascesa verso una carriera di affidabile cameriere, che gli dischiuderà le porte della bianca residenza presidenziale, sino a divenire il responsabile dello staff presidenziale lungo quaranta lunghi anni di carriera e ben sette presidenti nel proprio invidiabile curriculum.
La figura di quel cameriere, sempre silenzioso ed in disparte, inevitabilmente partecipe passivo di incontri e colloqui che hanno cambiato, nel bene e nel male, la storia del mondo, è girato concentrandosi sul viso asimmetrico ma molto cinematografico del sempre solido e affascinante Forest Whitaker, occhio cadente e smorfia laterale che lo rendono un personaggio imponente e rassicurante allo stesso tempo, qui affiancato per l’occasione da una Oprah Winfrey molto espressiva ed in parte, nel ruolo della moglie peperina ma fedele per una vita.
Daniels conferisce un tocco (sin troppo) classico alla rappresentazione cinematografica del diario di una vita, che diventa una nuova epopea che passa da tragedie immani (e spesso sottovalutate) come la schiavitù alla materializzazione del sogno americano, che vede appunto il più umile degli schiavi assurgere ad un ruolo pur sempre da servitore, ma come ingranaggio importante e vitale della macchina del potere. Sontuoso e sin eccessivamente schematico, il film si avvale di un cast eccezionale in cui una molteplicità di divi ci sorprendono in “camei presidenziali” davvero godibili (su tutti Alan Rickman e Jane Fonda nei panni dei Reagan). Per fortuna nel contesto di un film altrimenti un po’ piatto, alle vicende del protagonista si interseca, seppure come in sottofondo, la storia concitata del figlio del protagonista, ambasciatore già dalla prima giovinezza dei moti di contestazione dei fenomeni della schiavitù che videro impegnati molti uomini di colore a guadagnarsi prima lo status e la dignità di esseri umani, ed infine la parità di trattamento con la razza dominante. E’ questa conquista la vera realizzazione del sogno americano, tutto il resto è solo retorica, di cui gli americani sono maestri indiscussi.  
 
 
 

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