Regia di Ridley Scott vedi scheda film
Un amore mai sbocciato. Si potrebbe definire in questo modo il sentimento che ha caratterizzato il connubio tra Hollywood ed i grandi romanzieri della letteratura americana. Basterebbe pensare ai casi di Raymond Chandler, ed a quello ancor più eclatante per i drammatici risvolti che provocò sulla sua tenuta psicologica, di Francis Scott Fitzgerald, l'autore de "Il grande Gatsby", stritolati dalle regole di un sistema capace di annichilirne l'ispirazione. Una questione su cui “The Counselor- il procuratore" si inseriva in maniera prepotente per il fatto di presentare tra le sue fila uno scrittore come Cormac McCarthy, considerato tra i più importanti del panorama contemporaneo, e già noto a questi livelli per aver fornito il libro che ha consentito ai fratelli Cohen di vincere un meritato Oscar. Rispetto a “Non è un paese per vecchi” – questo il titolo del testo e poi del lungometraggio di cui parlavamo poc’anzi-il nuovo film di Ridley Scott presentava il vantaggio di avere a disposizione McCarthy in veste di sceneggiatore, con un plot assolutamente originale, non derivato da una stesura preesistente, ma scritto appositamente per il grande schermo. Un particolare da tener presente, non tanto per valutare le qualità di scrittura dell’autore, ma piuttosto per rendere conto della variante rappresentata da un procedimento che partiva da un insolita premessa. Per la prima volta infatti nella carriera di McCarthy la parola e le sue manifestazioni dovevano rispondere ai requisiti del cinema, un contenitore affascinante ma complesso per la difficoltà di adattare la parola all’immagine. Per affrontare la sfida il drammaturgo chiama a raccolta alcuni pezzi forti del suo repertorio. Al centro della scena c’è infatti una vicenda di sangue, ed a metterla in moto un protagonista che tenta di forzare gli eventi rimanendone schiacciato. Il procuratore, uomo senza nome ma dal forte senso etico (“E’ per questo che piaci alle donne”, gli dice Reiner, spregiudicato uomo d’affari con cui entrerà in società) è infatti il tipico rappresentante di un mondo in via d’estinzione, in cui la visione romantica dell’esistenza e la fede nei valori tradizionali ha ceduto il passo alla cupidigia ed al nichilismo della natura umana. Una tentazione che colpisce anche il protagonista, quando nel tentativo di assicurarsi una vita da sogno decide di gestire un carico di droga proveniente dal confine messicano per conto di un potente cartello della malavita. A fargli da intermediario oltre a Reiner (un Javier Bardem con la solita capigliatura eccentrica) è Westray, habituè del malaffare che lo mette in guardia sui rischi dell’impresa. Il consiglio inascoltato si trasforma in una trappola per topi quando la sparizione del prezioso carico scatena la vendetta di chi è convinto che il procuratore ed i suoi soci siano i responsabili dell’accaduto.
Ritornato sulla terra (Prometheus) Ridley Scott si tuffa nella contemporaneità con un thriller anomalo a cominciare dalla sua ambientazione, metà urbana, rappresentata da microcosmi di una socialità dedita al profitto ed all'intrigo, metà agreste, costituita dagli spazi aperti ed in generale dall'inconfondibile repertorio paesaggistico dello stato del Texas, new frontier dove si sviluppano e prendono quota istinti ancestrali e sindrome di morte, come testimonia la sequenza del leopardo che caccia la sua preda in uno dei rari momenti in cui la telecamera sembra accorgersi della presenza dell'ambiente circostante.
Efficace come al solito nel far risaltare la fotogenia dei suo attori regalandogli una serie continua di piani medi e ravvicinati che valorizzano la plasticità dei corpi e la loro canonica bellezza, Scott, non riesce a cambiare passo, restituendo l'universo di McCarthy con immagini commerciali, che nella pulizia compositiva e nella patina di una fotografia che esalta i contrasti di colore, poco si addicono ai "luoghi oscuri" dell'artista di Providence. Una mancanza di profondità che appartiene anche al profilo psicologico dei suoi protagonisti, in alcuni casi assolutamente di facciata (il personaggio di Laura, la donna del protagonista intepretata da Penelope Cruz è poco più che un cameo) in altri, parliamo dei cattivi, sintonizzata su una recitazione sopra le righe che toglie ambiguità al villain di Javer Bardem, e finisce per ridicolizzare la spregiudicatezza di Malika, la dark Lady impersonata da Cameron Diaz, tolta alla commedia per una parte che la costringe a scene weirdo, come quella in cui deve mimare un amplesso acrobatico sul parabrezza di una macchina, oppure a sequenze superflue - la conversazione con Laura a proposito delle sue fantasie sessuali e la confessione sui generis -che la vedono impegnata in dialoghi ed azioni che faticano a trovare un senso sul piano della coerenza narrativa. Appesantita da dissertazioni filosofiche che dovrebbero essere il risultato di una speculazione che la vuota formalità del film non riesce a contenere, "The Counselor" non riesce neppure a sfiorare la dialettica tra personaggi ed ambiente, che è motivo fondante della poetica di McCarthy. Così alla fine a prevalere più che il determinismo selvaggio e misterioso del ciclo vitale dell'esistenza è il sensazionalismo truculento e sadico utilizzato per colpire i trasgressori (in termini di stranezza ed efficacia la garrota messa a punto dai sicari ricorda la pistola pneumatica di Cigurh del film dei Cohen) e la sensazione di un turismo cinematografico che chiama in causa, e spiace dirlo, anche la penna di chi l'ha concepito.
(icinemaniaci.blogspot.com)
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta