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The Raspberry Reich

Regia di Bruce La Bruce vedi scheda film

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La recensione su The Raspberry Reich

di EightAndHalf
7 stelle

Commedia pornografica dell'assurdo, roboante delirio pop tra Warhol e Godard (ma anche, per certi versi, Harmony Korine, col senno di poi), The Raspberry Reich è una riflessione coerente fino allo spasmo sul Cinema come atto di guerriglia armata. Non è un caso che a molti jump cut Bruce LaBruce, regista gay attivissimo negli ultimi 15 anni almeno, fa corrispondere il suono prolungato di colpi di mitragliatrice. Di fatto, alla pari di un Gaspar Noé, LaBruce ci spara addosso immagini di una crudezza evidente, volutamente pornografica (dunque prolungata), ma sempre tenendosi ad un livello cosciente e critico, senza farsi mai notare. Di fatto, il terrorismo chic di cui parla LaBruce quando realizza The Raspberry Reich (ma viene da pensare anche a LA Zombie) è un ideale percorso parallelo alla New French Extremity, anche se con più pretese teoriche e sociali, che non puramente visive.

 

Indubbia infatti l'influenza godardiana, nelle scritte e nell'esplicitazione di un ingente numero di battute ripetute ed enfatizzate da fantasie di dissolvenze di enorme libertà espressiva. Sebbene Godard possa essere definito ben più esplicitamente teorico di LaBruce, non si disdegna neanche in The Raspberry Reich, che pure pare ostentare il suo essere B-movie con gioiosa impudenza, una riflessione teorica costruita direttamente sulle immagini e sugli istinti primari dello spettatore. E' infatti sfida del regista canadese quella di abolire i taboo senza presentarli nemmeno come tali, e liquidando subito l'accusa anti-borghese per prendere strade apparentemente più esili e superficiali. Di fatto, la trama è esile, ma non poco importante: il giovane figlio di un ricco capitalista viene rapito da un gruppo di terroristi ispirati alla banda Baader-Mienhof, capitanato da una donna scatenata e dalla libido irrefrenabile, Gudrun, che professa una liberazione sessuale (che passi necessariamente dall'abbandono all'omosessualità e alla promiscuità) e proclama l'esplosione dell'intifada gay. LaBruce prende subito le distanze dalle affermazioni di Gudrun, pur assumendone l'estrosità e la scatenata voglia di guardare (le scene in cui Gudrun costringe i suoi compagni a copulare di fronte ai suoi occhi sono esemplari), e riesce dunque ad assumere un punto di vista decisamente più problematico e costruttivo affondando molto di quello che riprende in un'irriverente parodia. 

 

E nonostante lo spirito anarchico del film riesca a far trapelare un animo quasi tenero - la tenerezza delle cose ostinatamente folli, come poteva essere tenero The Rocky Horror Picture Show - uno sguardo più attento al film può lasciare intendere una certa disperazione. Infatti l'insistita messa in scena di sesso gay hard-core non è solo l'arma per scandagliare le possibilità di un genere con gli strumenti del genere stesso, ma cerca di inserire lo spettatore in un ben preciso punto di vista: la pornografia di The Raspberry Reich smette presto di essere scabrosa. Diventa, piuttosto, sempre meno gioiosa, andando avanti con la pellicola. La musica, perennemente presente come nei più classici porno (si pensi a Gerard Damiano, che pure con la pornografia aveva più di una cosa da dire), si fa più rada, esplode in lampi sempre più irregolari, in certi istanti l'immagine si fa addirittura sfocata; se prima le dissolvenze, gli split screen e i movimenti di camera, con l'alternarsi squilibrato dei formati, garantivano un senso di scomodo frastornamento, ma anche di libidinosa anarchia, sembra che nella seconda parte diventino quasi una prigione ("fuck the captive!" urla Gudrun, costringendo il compagno Che a riprendere l'altro compagno che circuisce il prigioniero, dal canto suo per nulla contrario all'idea). Ed è il ripetersi di un concetto, di un'idea, di un'immagine, a rendere The Raspberry Reich la distruttiva metafora di un loop come di una piaga dei sensi. 

 

Maestro dunque di dissimulazione e di travestimenti, LaBruce mantiene un tono comico e spensierato senza lasciar andare mai via del tutto il fantasma cattivo e spietato del voyeurismo, come di un virulento meccanismo di autostordimento che ha trasformato un'immagine distruttiva (invisibile, ma presente, della caduta delle Torri Gemelle, rievocate dal Bush obbiettivo del gioco delle freccette e dalla parentesi islamica finale) nel logo pop di una qualunque banana warholiana (i ripetuti blow job di The Raspberry Reich non possono non mettersi a confronto con le fellatio più famose della storia del Cinema - un anno prima quella di Chloe Sevigny a Vincent Gallo; molti anni prima quello di 30 minuti di Andy Warhol). The Raspberry Reich indaga dunque il rischio dell'insensibilità nei confronti dell'immagine, a fronte dell'assuefazione e della ridondanza - intento del tutto opposto all'operazione necrofila e revitalizzante di LA Zombie - un rischio di cui è ben a conoscenza pure Harmony Korine. 

 

Mario Banana che lecca la banana è diventato un ragazzo (o un alieno, come in Spring Breakers) che non succhia un sesso, ma una pistola. The Raspberry Reich è il controcampo lasciato a se stesso della trilogia dallesandrina di Paul Morrissey; è la carcassa della Pop Art.

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