Regia di Lars von Trier vedi scheda film
Circa quattro ore di girato, per raccontare la parabola discendente di una ninfomane (in lessico borghese "sessodipendente"). E' un film, o un'opera cinematografica, su un corpo, quello di Charlotte Gainsbourg, che appare nei diversi stati di formazione umana e sessuale: dagli innocenti giochi da bambina alla scoperta della propria sessualità, alla complessa accettazione della stessa e infine alla subordinazione ad essa del proprio intero essere. Se dovessimo cnsiderarlo, come in molti hanno fatto, un caso cinematografico il risultato è probabilmente un flop. Il film è infatti pieno di difetti: la provocazione, che è un tassello fondamentale e lo scopo ultimo di ogni opera di Von Trier, resta fine a se stessa, non si concretizza; anche il sesso e la violenza risultano fine a se stessi, non armi per la disgregazione di una (si voglia) morale catto-cristiana, bensì innoque rappresentazioni di una sorta di meschinità apparente che si ferma sempre un attimo prima di sfociare in qualcosa di effettivamente pesante; è, forse, il peggiore tra i film seguenti al periodo del Dogma 95, il manifesto di quel nuovo modo di fare cinema che faceva appunto capo a Von Trier e che aveva nel film-vetrina, "Festen" di Vintenberg: Von Trier non rinuncia stavolta alla luce naturale, anzi, ne pregna la maggior parte delle migliori inquadrature e, inoltre, rinuncia anche all'idea per cui il fattore audio debba necessariamente essere filmato, adottando a mò di sottofondo, tra gli altri, Wagner e Sostakovic; la maggior parte dei personaggi sono stereotipati, esattamente ciò che non ci si aspetta da un regista del calibro di Von Trier; per tutto il film aleggia un'aria terribilmente moraleggiante, come se descrivesse in verità il cammino di una peccatrice verso la redenzione. E molti sono gli elementi religiosi che riempiono il dialogo-confessione-assoluzione fra il sacerdote-Seligman e la meretrice-peccatrice-Joe, tra cui elementi della letteratura religiosa diabolica, elementi pagani, elementi cattolici, persino discussioni animate sullo scisma d'Oriente. E il film si muove a tratti sterilmente, a tratti animatamente, in un processo di conversione dal peccato all'apoteosi finale della protagonista che ritrova l'umanità disgregata nell'umiliazione. Ci sono delle trovate affascinanti: il b/n del quarto capitolo risulta seducente, nel descrivere armoniosamente il rapporto della protagonista con il padre, e la maggior parte delle discussioni fra Skasgard e la Gainsbourg, la cui chimica funziona e si amalgama perfettamente al racconto, pur essendo trite di intellettualismi e prossime allo scontro tra la parte cerebrale e la parte animosa del mondo (metaforicamente trasfigurato nei due personaggi), risultano alle volte abbastanza interessanti, e mai fuori tema. Anche la maggior parte delle interpretazioni sono godibili, nella galleria di personaggi chiamati unicamente per lettera che ci propina Von Trier. Inferiore ad ultimi lavori del regista, quali "Antichrist" e "Melancholia", pur cercando di volare ben più in alto, non è un film sulla sessualità: l'impianto narrativo è da romanzo di formazione, la macchina da presa indaga con occhio vouyeristico la pelle e il corpo che incarna la stessa provocazione mai celata dall'inizio alla fine. Ma Von Trier non è nè Godard, nè Pasolini.
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