Regia di Lars von Trier vedi scheda film
Nella lunga confessione di Joe (Charlotte Gainsbourg), fiume inarrestabile di esperienze erotiche, nel quale si muove la protagonista come un’esca gettata nella vita per afferrare uomini o meglio sarebbe dire cazzi di uomini, come oggetto, forma e sostanza di un inestinguibile desiderio, si susseguono gli episodi e gli eventi, che nel corso degli anni, le hanno mostrato la sua vera natura, quella di ninfomane, di una persona dipendente dalla continua ricerca del piacere fisico. Una confessione che è un racconto non lineare, costellato da similitudini con gli oggetti che Joe vede all’interno della stanza di Seligman (il suo sconosciuto confessore), in cui si ritrova dopo essere stata aiutata dall’uomo, che diventano gli spunti narrativi da cui partire per iniziare ogni capitolo in cui la storia sarà suddivisa, una storia sempre aperta agli improvvisi spazi dell’immaginazione, un racconto che Lars von Trier organizza attraverso numerose invenzioni filmiche, visive e sonore, inserti didascalici che trasformano, a volte, la confessione di Joe a Seligman in un saggio multiforme, che partendo dalle parole della donna sul mondo della sua sessualità si amplia in altri universi: la religione (il cristianesimo, la chiesa ortodossa), la morale (il peccato, la colpa, la redenzione), l’arte e la letteratura (Edgar Allan Poe), la musica (Bach e la polifonia), la psicanalisi (Freud, i gruppi di sostegno) e in questo modo si trascendono le esperienze della carne verso qualcosa di più profondo e universale.
E dagli echi di questa universalità che ci riguarda tutti, in quanto esseri umani continuamente sottoposti alle attrazioni, alle cariche e ai cicli dell’energia sessuale, Lars Von Trier fa uscire fuori momenti di straordinaria bellezza e poesia, la ricerca delle radici dell’eros nell’infanzia, gli innocenti giochi erotici di due bambine, una visione lucente durante un orgasmo spontaneo, il rapporto di Joe, quando era piccola, con il padre, mentre le parla degli alberi spogli in inverno e delle loro anime, alberi spogli come lo sono gli uomini e le donne durante l’atto sessuale, di cui il regista riesce veramente a filmare l’essenza erotica (il dettaglio pornografico è inutile provocazione), il suo splendore e la sua stupida meccanicità, perché guardare qualcuno fottere può essere un’esperienza ipnotica e illuminante oppure solo una triste testimonianza, come osservare due cani che si stanno accoppiando. Ripercorrendo la propria vita Joe traccia un percorso pieno di sofferenza e solitudine, dove gli incessanti incontri sessuali non riescono mai a soddisfare qualcosa di inappagabile e questo vuoto interiore, divorante, (auto)distruttivo, continua negli anni ad espandersi portando la donna ad esperienze sempre più estreme, fino all’incontro con le pratiche del sadomasochismo, della sofferenza fisica, che Joe non vive nella ricerca della conoscenza di sé stessa e della conseguente liberazione dall’Io, quanto un ultimo disperato tentativo di riacquisire il suo diritto (precedentemente perduto) al piacere.
Lars Von Trier firma uno dei suoi film più complessi e compiuti e aiutato dalle prove (realistiche, immerse negli psicodrammi) degli attori che lo circondano compone un altro viaggio nei paradossi, nelle speranze e nella disperazione dell’essere umano e della società che lo accoglie, carico di spirito dissacrante e (im)morale Von Trier racconta qualcosa di vero e di assolutamente falso, a noi capire cosa tenere e di cosa saper ridere, la purezza del suo cinema è come lo sguardo di una giovane vergine in cerca del suo primo amante.
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