Regia di Lars von Trier vedi scheda film
"L'unica cosa che chiediamo al pubblico è una certa dose di candore infantile, una ricettività nei confronti della fascinazione che mostriamo sullo schermo." Di questa vecchia dichiarazione di Lars Von Trier se ne potrebbe fare il punto di partenza per avvicinarsi al nuovo Nymphomaniac che potrebbe diradare il campo da posizioni contagiate dalla fede assoluta nel regista danese, dalle prese di distanza fomentate nell'identica considerazione ma di segno opposto, o ancora peggio dalla campagna mediatica di promozione che etichetta il film come scandaloso, anzi, pornografico. Quello che dovrebbe mettere d'accordo tutti è che Nymphomaniac al termine delle sue cinque ore, (ma visibili in sala sono quattro) potrebbe anche essere altro da quello che si è visto in questa prima parte. Von Trier si conferma mai uguale a sè stesso, ma coerente in un percorso di trasformazione, sempre in grado di sviluppare contenuti innovativi dal punto di vista linguistico, o se si preferisce pensare che nessuno oggi inventa più niente, di riportare in vita rappresentazioni e tematiche accantonate prematuramente dai canali culturali istituzionalizzati. Se l'eroina femminile di Von Trier ha le stimmate di una moderna Giovanna d'Arco senza sapere di possederne le qualità morali, nei suoi film è destinata a non essere mai compresa, nè accettata dall'ambiente circostante, vittima sacrificale del male assoluto, e andando a ritroso nella filmografia del regista ne ritroviamo i caratteri comuni. Da Bess che nelle Onde del destino si prostituisce per amore fino alle estreme conseguenze, a Grace martirizzata dagli uomini di Dogville, dalla difesa del ritratto imperfetto ed instabile di Selma in Dancer in the dark, al transfert emotivo nella diversità di fronte al dolore di Karen con Idioterne. Il primo snodo che questa figura guida affronta solo con le sue forze, arriva proprio con il discusso Antichrist, con la gestazione della rottura simbolica dei valori e delle regole che determinano i rapporti umani, per sfociare con l'affidamento alla protagonista di Melancholia, Justine, dell'ultimo sguardo verso la salvezza del mondo destinato ad entrare in collisione. La nuova donna deve essere fuori dal controllo maschile fino dalla nascita, fuori dal suo pensiero, dai suoi crismi morali, relazionali ed estetici, lontana dall'ingannevole circuizione sentimentale che in realtà l'uomo poi non domina e che invece ricondurrebbe la donna ad un asservimento spirituale falsato. Riconoscimento e potere della sessualità, liberazione delle pulsione e delle repulsioni, consapevolezza del corpo per aprire la mente, riportano a modelli letterari che vanno da de Sade ai surrealisti, e Von Trier ribalta l'equazione romantica dell'amore coronato dal sesso, disinibito sfrenato e appagante, la bionda B, amica della protagonista Joe ripeterà più volte il concetto che "..l'amore è l'ingrediente segreto del sesso." Nymphomaniac appare come lo scontro fra razionalità e irrazionalità, Von Trier separa il racconto con il parlato, una narrazione dai contenuti alti, filosofici e simbolici, ma anche auto ironici e umoristici, con l'immagine rievocata nel lungo flashback di Joe alla ricerca di un possibile senso di colpa. In questo caso le immagini che sono forti ed esplicite, sono bilanciate e armonizzate dal testo che ne riduce e ne annulla la veste "pornografica". Il ruolo di Seligman è enigmatico e non privo di ambiguità e mistero. Soccorre Joe ferita per strada, ne accudisce le confessioni, è pronto ad accoglierne con spirito filosofico il travagliato vissuto, ponendosi in una posizione che sta fra il giudice e l'assolutore per partito preso. Posizioni tipicamente maschili che possiamo supporre verranno a determinarsi meglio nel seguito, come l'escalation psico fisica della protagonista sembra delineare un percorso diviso fra piacere, sofferenza e impossibilità amorosa. Teorie e pratiche sessuali convergeranno in un nuovo umanesimo o segneranno una ulteriore divaricazione pessimistica nelle relazioni umane? Le risposte,(forse) nella seconda parte.
Nymphomaniac volume II
Intanto un’ovvia avvertenza: anziché vietare Nymphomaniac2 ai minori di anni 18, è tassativamente da proibire a chi non ha visto la prima parte. Lars Von Trier gioca d’anticipo, smonta in pochi passaggi iniziali l’ossatura teorica e filosofeggiante delle prime due ore, la letteratura, la sublimazione della parola, l’estasi spirituale mistica e religiosa non contengono che mezze verità. L’anziano soccorritore di Joe la ninfomaniaca, Seligman, si dichiara asessuale, privo di ogni stimolo e desiderio fisico, della vita reale in fondo non sa niente e le sue intuizioni si rivelano formali adesioni al racconto di Joe, l’assenza dell’orgasmo e la paura di non avere nessuna sensazione rispecchiano la sua esistenza. Viste le premesse Von Trier demolisce anche la ricerca dell’amore all’interno della conoscenza del sesso, non basterà amare uno (Jerome) per potersi donare ad altri (sulla falsariga di Le onde del destino), né percorrere strade più complicate fra pratiche sadomasochistiche e sesso di gruppo, l’orgasmo, il piacere, come il dolore vero, stanno nascosti altrove. Sarà il caso che consentirà a Joe di ripartire da zero, di ritentare una costruzione psichica di sé, quella fisica non è più possibile, e attraverso lo sviluppo del rapporto con la giovane P. che prenderà il suo posto in un’attività lavorativa particolare, Joe arriverà ad intravedere la forma della propria anima e a riconoscersi. Oltre ad omaggiare sé stesso, il regista rende ancora una volta giustizia alla figura femminile, il cui ruolo di “anticristo” all’interno delle società, dalle più arcaiche a quelle moderne, la confinano a comprimario del maschio, per emularne il potere, per essere fraintesa, derisa e privata di ogni dignità. Esplicitamente si mostrano gli accadimenti dal punto di vista maschile, perché maschile è la loro lettura sociale, mentre l’inspiegabile lo si lascia in carico ai dubbi e alle angosce di Joe. Questa seconda parte avvicina molto meglio lo spettatore alla protagonista, si vive con lei il travaglio mentale estremo che invece la didascalica riproduzione degli accoppiamenti in serie della prima parte non consentivano. Von Trier ottiene il risultato di scrutare a fondo l’essere umano nel suo insieme, alla fine Joe non è più una sesso dipendente, ma una persona che si vede realmente com’è, consapevole e vittima delle sue pulsioni, liberata da ogni vincolo che la morale falsata impone, ma anche responsabile dei propri gesti, della sua tristezza, di un passato che affiora attraverso rimandi sempre più ingombranti. ”Una donna non spara, non uccide, è portatrice di vita..” La liberazione da sé avviene per gradi nei vari capitoli secondo la divisione del film, si concretizza la dismissione fisica a favore di una verbalità reale, espressione di un pensiero libero. In un passaggio molto forte, Joe, invischiata in azioni violente e affari poco limpidi smaschera con le parole i segreti inconfessabili di un pedofilo, diventa la sua coscienza e ne ottiene la confessione penosa. Ecco l’inganno mortale, la soppressione di una parola slegata dai dogmi, che invece possa andare di pari passo con l’istinto e la fisicità del corpo, in favore di una nuova armonia e non chiusa nella repressione truccata che porta alla disperazione e all’infamia. In un percorso a ritroso e antitetico rispetto alla prima parte, Joe depone ogni ruolo che la cultura occidentale le attibuisce, moglie, amante, madre, ninfomane, martire e devota meretrice, in fondo al viaggio di ricerca del piacere trova il dolore e la perdita, dunque può maturare l’occasione per pacificare sé stessa. Ma ecco ancora il peso del mondo, l’archetipo maschile che reclama la sua ricompensa. Non c’è che diventare come lui e cadere nel pessimistico buio dell’ultima, definitiva inquadratura.
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