Regia di Lars von Trier vedi scheda film
Volume I & Volume II
"Perhaps the only difference between me and other people is that i've always demanded more from the sunset. More spectacular colors when the sun hit the horizon. That's perhaps my only sin."
Dopo le numerose provocazioni, le intelligentissime campagne di marketing pubblicitario e gli articoli, più o meno scandalosi, su questo nuovo "porno d'autore" (che sia maledetto chiunque usa questo termine), risulta veramente difficile poter parlare apertamente dell'ultima opera di Lars Von Trier senza cadere nei soliti cliché e nelle solite noiose argomentazioni dei pro e contro del sempre più discusso regista danese.
Inizio col dire che, a mio avviso, Nymphomaniac è Volume I e Volume II solo ed esclusivamente per una burbera operazione di marketing e che, quindi, credo sia più corretto parlare del film come di un unico lugometraggio di quattro ore (ed è già un delitto, visto che la versione originale dovrebbe durare un ora e mezza in più rispetto a quella che arriverà nelle sale).
Detto questo, l'ultima fatica del regista danese, reduce dal non troppo discusso Melancholia, si presenta (c'era da immaginarselo) come il capitolo conclusivo di una trilogia fantasma che, a partire dall'assai chiaccherato Antichrist, ha posto al suo centro la solitudine, le pulsione e le paure dell'essere umano. Guardando all'interna filmografia di Lars Von Trier, poi, è evidente che questo Nymphomaniac si ponga anche come una sorta di summa complessiva del suo cinema.
Ma procediamo con ordine.
Nymphomaniac è la storia, divisa in 8 capitoli, di Joe e delle sue vicende sessuali, dall'infanzia fino all'età di circa cinquat'anni.
Si parte, così, con le prime esperienze della gioventù, passando poi per gli incontri con uomini di diverse età e attraverso la relazione con Jerôme, per arrivare, infine, alla conclusione, nell'ultimo capitolo "The Gun".
Tra una vicenda e l'altra si intersecano i dialoghi tra la protagonista e Seligman, l'uomo che ha soccorso la donna dopo averla trovata, pestata a sangue, in un vicolo.
Grazie a questo schema narrativo e alla ricchezza di citazioni e riflessioni, Lars Von Trier realizza un'opera in cui la tendenza romanzesca e la trattazione saggistica si fondono assieme. A partire da piccoli spunti che potremmo definire, appunto, teorici, Joe inizia a raccontare la sua storia, creando un parallelismo tra le proprie vicende personali e le ispirazioni, reali o fittizie, che offre l'appartamento di Seligman. Così, le diverse tipologie di esche diventano il presupposto per il primo capitolo "The Compleat Angler", Bach e la sequenza di Fibonacci danno vita a "The Little Organ School", una discussione sulla religione e sulla Chiesa cattolica e ortodossa anticipa "The Eastern and the Western Church (The Silent Duck)", e così via.
Nymphomaniac, prima di tutto, è l'opera del regista danese in cui meglio si fonde il suo cinema e le sue ispirazioni, in un continuo dispiegarsi di citazioni e (palesi) autocitazioni.
Tra un capitolo e l'altro, tra un incontro sessuale e l'altro, si parla dell'anima degli alberi, della pesca, di Fibonacci e della sezione aurea, di Bach e di Wagner, di Freud, di religione e satanismo, per arrivare addirittura ad una digressione sulla forchetta da dolce. Non si pensi, però, che questa gran quantità di temi e di riferimenti renda il tutto eccessivamente pretenzioso e difficile da digerire, perché la macchina di Von Trier funziosa alla perfezione: ogni elemento, preso direttamente dalla mente del regista, finesce per intersecarsi perfettamente nel grande puzzle della vita di Joe.
Se Melancholia e Antichrist si erano limitati a prendere in considerazione solo una piccola parte delle vite dei suoi protagonisti, Nymphomaniac va oltre, cercando di restituirci un quadro, seppur frammentario, della lussuriosa esistenza della ninfomane Joe.
Non siamo però di fronte ad un opera di realismo cinematografico (sarebbe un errore definirla come tale); nell'ultima fatica dell'autore danese tutto è esagerato, dallo stile ai contenuti, per poter dar forma alla visione personale, assai complessa e contorta, di un determinato tema.
Joe è una ninfomane, e come tale ha speso la sua vita (fino al momento del pestaggio) dedicandosi solo ed esclusivamente alla completa lussuria, tenendosi ben lontana da concetti quali "relazione" o, ancor peggio, "amore" (nelle sue dichiarazioni sembra leggere i discordi di Dolmancé ne La Philosophie dans le boudoir di Sade).
Sia chiaro però, la sessualità è esplicita, ma non onnipresente. L'intento di Lars Von Trier, infatti, non è tanto quello della provocazione, ma bensì quello di mostrare l'essere umano, femminile (come da tradizione), nel viaggio attraverso la scoperta e l'esercizio delle proprie pulsioni e a stretto contatto (anche qui, come da tradizione) con la propria natura, da sempre crudele e irrazionale ("I'm a bad human being" ripete Joe; e come darle torto?).
Questa violenza, insita nella natura dell'uomo, presente nel folle sfogo (assai giustificato) di Mrs H (interpretata da una incredibile Uma Thurman), nelle punizioni di K (Jamie Bell), nella crudeltà della giovane P (Mia Goth), viene inserita dal regista danese in un sistema in cui, da un lato diametralmente opposto, possiamo assistere al ricordo di un padre molto amato e a quello dell'unico vero (?) amore della protagonista.
A questo lungo viaggio/percorso, di solitudine e autodistruzione, si contrappone la figura di Seligman, il soccorritore di Joe; un uomo, vergine e asessuato, che ha speso l'intera vita nell'esercizio della lettura e dello studio, accumulando sapere e nozioni, e che ora cerca in tutti i modi di trovare la giusta spiegazione logica agli avvenimenti della vita della ninfomane, cercando l'ordine nel caos.
Un dialogo/contrasto, quello fra Seligman e Joe (ragione e pulsione), che durerà fino alla conclusione delle circa quattro ore di pellicola, e che si risolverà solo nel veloce, diretto e freddo epilogo (torna alla mente Dogville).
La tesi sull'idea di summa complessiva, poi, viene ulteriormente avvalorata dalla forma di questa ultima fatica di Lars Von Trier. Il regista, ormai lontano ma per certi aspetti ancora vicino al Dogma, realizza un'opera in cui i diversi stili si fondono assieme, risultando comunque totalmente convincente e credibile. L'autore si vede e si sente, eccome.
Passiamo così al formato 4:3 del (bellissimo) terzo
capitolo "Mrs. H", al bianco e nero di "Delirium", alla tripartizione dello schermo in "The Little Organ School", e così via.
La numerosissima quantità di inserti e digressioni non appartenenti alla diegesi, ma pur sempre legati ai temi affrontati (tornano alle mente le avanguardie), rendono Nymphomaniac un'opera di straordinaria ricchezza. Durante il folle viaggio di Joe verso l'autodistruzione veniamo rapiti anche dal salto delle rane nello stagno in ralenti, da immagini sull'universo, dai numeri in sovraimpressione che ripropongono la sequenza di Fibonacci e l'addizione simbolica del 3+5. Il tutto unito dall'inconfondibile stile dell'autore danese.
Da menzionare, poi, oltre alla perfetta colonna sonora, che riesce ad unire i Rammstein a Richard Wagner e Johann Sebastian Bach, le ottime interpretazioni: da ricordare la sempre convincente Charlotte Gainsbourg, nei panni di Joe adulta, la meravigliosa (già citata) Uma Thurman e anche la debuttante Stacy Martin, la giovane Joe.
A conti fatti, Nymphomaniac si presenta come l'opera più completa e significativa della cosiddetta "trilogia della depressione", riuscendo, a mio avviso, a superare i due capitoli precedenti.
Lars Von Trier, un po' come la sua protagonista Joe, porta alla conclusione il suo viaggio iniziato con Antichrist, riuscendo, durante queste quattro ore, nella quasi impossibile impressa di distruzione e ri-creazione del cinema, secondo le proprie esigenze e i propri modelli.
È un film complesso e profondamente affascinante; uno di quei rari casi capaci di lasciarti esterrefatto e di farti capire il vero significato, nel cinema, della parola "autore" (ad oggi troppo spesso abusata).
Chapeau!
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