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Nymphomaniac

Regia di Lars von Trier vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Nymphomaniac

di laulilla
6 stelle

L’uscita del film (2013) era stata preceduta da una ridda di notizie fatte filtrare con molta abilità un po’ alla volta, in modo da creare aspettative talvolta un po’ morbose: era diventato il film più atteso di Lars Von Trier, che – fin dal titolo e dalla locandina – si presentava come il più trasgressivo fra i suoi.

 

In realtà questo, come tutti gli altri del regista danese, si presenta come un film filosofico, che dura più di quattro ore nella versione “tagliata” che ha eliminato un’ora e mezza di proiezione.

Il regista – avvedutissimo uomo d’affari ed esperto nella manipolazione provocatoria – aveva permesso i tagli al film, purché non ne  mutasse il senso, non intendendo creare problemi alla sua  distribuzione internazionale...

 

Per la sua considerevole lunghezza, nonostante le robuste sforbiciate, il film è stato proposto nelle sale suddiviso in due parti, visibili solo separatamente, risultando simile a un romanzo in due volumi, cosicché la prima e la seconda parte si chiamano rispettivamente vol.1 e vol.2.
In ciascun volume, come nei precedenti film di LvT, la narrazione è tematica e articolata per capitoli (otto in tutto: cinque nella prima parte) che possono essere analizzati anche come singole unità narrative, pur collocandosi all’interno dala stessa cornice.

 

Volume 1

L’inizio è cupo: nei vicoli oscuri e umidi di una città, una donna, tumefatta nel volto e visibilmente provata nel corpo che reca tracce di un recentissimo pestaggio, viene trovata a terra sanguinante da un anziano passante, che abita vicino: egli la vede e la soccorre, ospitandola in casa propria per offrirle aiuto e ascolto.
L’uomo è Seligman (Stellan Skarsgård); la donna è Joe (Charlotte Gainsbourg), che ora, comodamente distesa sul lettino e confortata dal calore dell’accoglienza e delle bevande di Seligman, inizia a raccontare la propria storia all’uomo che attentamente la ascolta.
Seligman è un singolare personaggio: è un erudito, studioso di filosofia, un logico e un matematico; sa cogliere analogie e rapporti tra le cose del presente e le costruzioni metafisiche del passato ed è, inoltre, gentile e comprensivo con Joe, di cui coglie l’urgenza di parlare di sé, ritenendosi una donna non solo infelice, ma cattiva.

 

Per questa ragione, spesso egli ne interrompe il racconto dimostrandole, sulla base dei suoi serissimi studi, che i ricordi evocati ne restituiscono un’immagine di persona del tutto normale, anche se sessualmente esuberante (le memorie della donna iniziano rievocando la propria adolescenza insaziabilmente curiosa delle cose del sesso), senza alcuna traccia di malvagità.

Tutto il primo volume si fonda su questa dialettica: al racconto di Joe fa seguito il tentativo di interpretazione “normalizzante” di Seligman, con esiti talvolta buffi, talvolta ironici, in ogni caso stranianti, ciò che conferisce un carattere leggero a questa parte del film. Scopriamo sorpresi come la suite numerica di Fibonacci sia in qualche modo collegabile per analogia alla deflorazione di Joe, così come le scorribande di Joe a caccia di uomini che soddisfino la sua avida curiosità siano analoghe alle attività perfezionistiche di Seligman per diventare un perfetto pescatore!
Dei cinque capitoli di questo primo volume si distinguono – per qualità del racconto – il terzo e il quarto, rispettivamente titolati “Mrs. H”, (feroce descrizione di una gelosia possessiva, ipocritamente ammantata di politically correct con la notevole prova d’attrice di Uma Thurman), e “Delirium”, dolorosissimo racconto in bianco e nero della morte del padre di Joe per delirium tremens, vista con gli occhi e anche col corpo di lei, adolescente inquieta (è Stacy Martin l’attrice nella parte di Joe ragazzina) che per la prima volta prende coscienza di quel male di vivere, che è secondo me la chiave di lettura di questo come di altri  precedenti film del regista (Antichrist, MelancholiaLe onde del destinoDancer in the Dark e anche Dogville).

 

 

Volume 2

In questa parte del film, significativamente sottotitolata “Forget about Love”, Joe ricostruisce la storia complessa del suo rapporto con Jerome (Shia LaBeouf), l’unico amore della sua vita.


Per comprendere il triste e quasi disperato procedere  del racconto, il sottotitolo è decisivo, poiché dà ragione di un atteggiamento filosofico e non psicologico del regista: in altre parole, la depressione, di cui molto si parla, c’entra assai poco.
C’entra, invece, la visione "negativa" dell'esistenza umana che ha attraversato la cultura occidentale nel corso dei millenni; l’incessante interrogarsi sul senso dell’energia primordiale che anima la materia di cui –  come tutti gli altri esseri viventi – siamo costituiti e che si manifesta come impulso sessuale, condannandoci inevitabilmente alla sofferenza, al dolore e infine alla morte.


L’amore, essendo finalizzato alla riproduzione della vita, non ha nulla di "romantico": è bene che ne prendiamo coscienza, e che lo si dimentichi, nei soli due modi possibili, impersonati da Seligman - figura allegorica dello studioso vergine, che ha sublimato attraverso lo studio l’istinto riproduttivo, mantenendo la capacità di comprendere il dolore degli altri - e da Joe, che accetta invece il proprio destino disperato attraverso la ricerca mai sazia del piacere e che perciò intende, pagandone lo scotto doloroso, dedicarsi solo a questo, incessantemente.
E’ significativo, a questo proposito, che Joe si allontani volontariamente e orgogliosamente dalle donne “dipendenti sessuali”, che, non volendo essere chiamate ninfomani, cercano di superare, attraverso la terapia del confronto di gruppo, il problema della sessualità compulsiva, per diventare donne perfettamente “normali”, adatte a vivere nella famiglia e nella società.
Non a caso Joe riconoscerà, alla fine del film, nel frassino solitario, cresciuto faticosamente con nodi e contorcimenti che ne rivelano la resistenza tenace, la pianta che le rassomiglia, che, come lei, ha testimoniato, contro le avversità, la propria diversità ostinatamente.



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