Regia di Timothy Greenfield-Sanders vedi scheda film
Partire dalle cose - apparentemente - semplici. Le modelle, queste (s)conosciute: inermi figurine da collezione o influenti ambasciatrici della contemporaneità? Le interviste, queste incognite: punti interrogativi d’ordinanza su concetti preconfezionati o percettibile interazione tra punti di vista? Modelle + interviste non è un gioco a somma zero. Né, come vorrebbe il luogo comune, è il gioco del silenzio. Queste ragazze (cresciute, parecchio) parlano. Hanno cose da dire. Sirene fascinosamente canute come Carmen Dell’Orefice e statuarie creature androgine come Isabella Rossellini. Curvilinee bambole graffianti come Jerry Hall e altere figure principesche come Carol Alt. Solo alcune delle icone immortalate da Timothy Greenfield-Sanders, che leviga la Settima Arte col cesello del ritrattista. I soggetti sono pietre dure. Conoscono le conseguenze di ombre e luci, sanno porgere il loro profilo migliore. Cangianti, si accendono ricordando l’allegria cameratesca dello Studio 54 e la bellezza confidenziale di un Sogno fatto realtà. Il primo grande respiro dell’indipendenza economica. Si fanno camere oscure di pregiudizi razziali e malintesi professionali (quando “sfilare” era sinonimo di passeggiare a bordo strada). Guardano in camera con la sicurezza brillante che si conquista nel tempo, stilose nei segni (più o meno nascosti) del loro tempo. Mai stilizzate. Prende forma un quadro minimalista, un secolo di Storia (del costume, della donna) raccontato da una sedia. Stupisce con grazia, rapisce con semplicità. Sfacciata e sfaccettata, senza effetti speciali.
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