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Predator

Regia di John McTiernan vedi scheda film

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La recensione su Predator

di SredniVashtar
8 stelle

Più che un film, un'epica.

La rilevanza di Predator non occorre nemmeno venga descritta: basta considerare i seguiti (Alien-contaminazioni comprese), commerciali ma non solo.

 

Predator, come hanno osservato in diversi, non è solo un film – buono o cattivo non importa – ma anche un nuovo prototipo concettuale nell’affollata arena di scontro tra umani e alieni. È l’invenzione di un nuovo protagonista nella sfera dell’immaginario collettivo, tant’è che il nome è divenuto un termine universale, riconosciuto dall’Alaska all’Antartide, quasi quanto “terminator”. Volendo, la pellicola si può considerare di fantascienza, ma personalmente troverei la definizione limitata e imprecisa. Davvero sono passati (oggi 2017) trent’anni dalla sua prima uscita? Avrei detto non più di 10-12, segno indubbio che l’iconografia di questo particolare alieno è entrata nella cultura di massa come un elemento stabile del sapere comune (un sociologo saprebbe esprimere ciò che intendo meglio di me).

Il film è costato più o meno come una pizza in centro e dire che la spesa è stata efficiente è un blando eufemismo.

 

Come tutti sanno, la trama vede uno Schwarzy ancora in gran forma muscolare capeggiare una squadra di Duri-che-più-duri-non-si-può, tant’è che il povero Carl Weathers – più che bastante per uno scontro alla pari con Rocky Stallone – qui fa la figura del chierichetto, che deve affrontare un'inattesa minaccia nel folto della giungla sudamericana. Le vicende di un simile gruppo di psicopatici mercenari non possono non dar luogo a battute leggendarie, tra le quali spicca l’incomparabile “Non ho tempo per sanguinare” dell’enorme sergente bianco e roccioso (Jesse Ventura), compagno di merende (anche di letto? è lecito chiederselo) del suo contraltare nero (Bill Duke), anch’egli capace di maneggiare la mitragliatrice con una mano sola. E come dimenticare l’indiano dal fiuto insuperabile (Sonny Landham), l’unico ad aver quasi intuito la presenza maligna?

È tutta l’iperbole di muscoli e atteggiamenti machisti a contribuire grandemente al fascino del film che però – sottigliezza – nel suo continuo gioco al rialzo non si prende mai veramente sul serio: Predator è in realtà un fumetto di Collana d’Eroi, pronti a sacrificarsi e disposti a morire solo se a sconfiggerli è qualcosa di ultraterreno.

 

Vale la pena sottolineare l’abilità della sceneggiatura e di Mc Tiernan nel dosare i progressivi elementi che suggeriscono come qualcosa davvero non vada com’era previsto. Il disvelamento (incompleto! altra astuzia) porta a certezze solo nell’episodio dello scorpione, e siamo già a metà film.

 

Il finale è destinato a riportare ordine negli a questo punto leciti dubbi sulle possibilità di sopravvivenza dell’umanità, con uno Schwarzy nudo a simboleggiare la tenacia della specie, riportata a stato istintuale contro la natura ostile e la minaccia d’altri mondi.

Più che un film, un’epica.

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