Regia di Chantal Akerman vedi scheda film
Jeanne Dielman, 23, quai du commerce, 1080 Bruxelles è probabilmente il film più noto della regista e sceneggiatrice belga Chantal Akerman.
Il più noto tra la ristretta cerchia dei critici e dei cinefili in quanto la cineasta, generalmente piuttosto considerata dalla critica, non ha mai inteso mirare al pubblico indistinto (fatta eccezione per l’opera commerciale Un divano a New York, peraltro accolto piuttosto tiepidamente anche dal pubblico indistinto e subito spostato tra le opere dimenticabili da parte della stampa specializzata).
Pur poco noto e poco visto, Jeanne Dielman è sempre stato un film amatissimo dai critici.
Ritrovarlo tuttavia in cima alla lista dei primi 10 migliori film della storia del cinema, stilata l’anno due di ogni decennio da Sight $ Sound, la rivista cinematografica britannica pubblicata dal British Film Institute, lascia, come minimo, quanto meno sorpresi.
Jeanne è una ancor giovanile e bella vedova quarantacinquenne che vive di economie una vita ordinaria tutt’altro che agiata. É occupata a riordinare casa, preparare da mangiare al figlio riservato e freddo che rientra a casa senza profferir parola ma leggendo anche nel momento dei pasti, cercando di farsi bastare una reversibilità del consorte defunto evidentemente non particolarmente generosa.
Il racconto della quotidianità della bella Jeanne ce la descrive in modo completo e maniacale nell’espletamento di ogni dovere casalingo, così come nel rendersi utile alla vicina tenendo il suo neonato quando costei esce per andare a far compere.
Osserviamo la donna nella preparazione, metodica ed accurata, dei piatti che poi il figlio appena degna di uno sguardo e trangugia senza mai un cenno che possa far intravedere un pizzico di entusiasmo.
Ci si accorge anche come Jeanne si sia organizzata a ricevere, con il massimo riserbo, alcuni uomini che la utilizzano come valvola di sfogo per qualche istante di piacere, per il quale la donna riceve compensi destinati ad integrare le magre entrate della propria rendita.
Ma una vita in solitudine, tra gente poco socievole ed un figlio che pare un automa, non può essere una soluzione definitiva, così come la rassegnazione non può, prima o dopo, lasciar spazio a una fisiologica reazione che comporterà conseguenze irreparabili e, probabilmente, senza via d’uscita.
Il celebrato film della Akerman rivela sin dal titolo, nella sua burocratica e meticolosa localizzazione pratica che viene rivelata in Jeanne Dielman, 23, quai du commerce, 1080 Bruxelles, l’intenzione quasi maniacale di entrare a far parte di un’ intimità familiare svuotata da ogni residuo di sentimento ed umanità, da ogni entusiasmo ed ispirazione positiva che non sia un banale trascinarsi avanti nella speranza che qualcuno o qualcosa possa determinare il tanto agognato cambiamento.
In questo il film coglie pienamente nel segno, restituendoci una figura di donna piegata da un gelo dei sentimenti che la rende sola tra automi e doveri domestici degni di una serva.
Nel film una splendida ed algida Delphine Seyrig, attorno al quale tutta la vicenda ruota, circondandola fino a sopraffarla, risulta impegnata in una delle sue interpretazioni più convincenti e significative, rendendo perfetta la figura della donna dall’aspetto magnifico relegata e sprecata attorno a doveri familiari e di routine che non le rendono giustizia né alcuna soddisfazione.
Risulta tuttavia difficile credere sinceramente che l’ottimo film della Akerman possa competere con 2001 Odissea nello Spazio di Kubrick, con La donna che visse due volte di Hitchcock, con Mullholland Drive di Lynch, o con il favorito di molte edizioni delle decadi precedenti, ovvero il per molto tempo insuperato ed osannato Quarto Potere di Welles.
Stessa cosa valga per il defraudato Ladri di biciclette di De Sica, primo diverse decadi orsono, ma ora addirittura uscito dalla prima decina di titoli selezionati.
Quella di Sight & Sound suona un po’ come una provocazione, un’ ostentazione, ma certo ha il merito di portare alla luce un bellissimo film misconosciuto, se non addirittura dimenticato, assecondando una sorte sinistra e triste che in qualche modo è assimilabile al triste destino della malinconica ma strepitosa protagonista.
Raramente come in Jeanne Dielman infatti si era riusciti con tale tenacia ed efficacia di soluzioni a scavare nell’intimo di un personaggio, a partire dalla sua gestualità esteriore, dai riti quotidiani apparentemente banali come il riassettare casa, ma stupendi a definire uno stato d’animo devastato da tanta freddezza tutt’attorno.
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