Regia di Gabriel Axel vedi scheda film
"Trasformare un pranzo in una specie di avventura amorosa, nobile e romantica, in cui non si è più capaci di fare distinzioni tra l'appetito del corpo e quello dell'anima." E' il senso profondo di questa magica e sensibile opera danese, tratta da un racconto di Isak Dinesen (che poi è Karen Blixen, l'autrice de "La mia Africa"), contenuto nel volume "Capricci del destino", Oscar e Bafta Awards come miglior film straniero nel 1987, Premio della Giuria Ecumenica al Festival di Cannes del 1987, Nastro d'Argento a Stéphane Audran come migliore attrice straniera ex aequo con Cher per "Stregata dalla Luna", nomination ai Golden Globes (battuto ahimè dal connazionale "Pelle alla conquista del mondo" di Bille August, ma in gara c'erano anche gli ottimi "Donne sull'orlo di una crisi di nervi" di Pedro Almodovar e "Salaam Bombay!" di Mira Nair). Non si tratta solo di un felicissimo ed intelligente esempio di adattamento cinematografico. "Il pranzo di Babette" è anche e soprattutto un film sulla bellezza e l'unicità dell'essere artisti, sui talenti da coltivare e manifestare, su una fede che non può essere solo opprimente, impositiva, bigotta e proibitiva, sull'amore come dono, attesa, rinuncia (splendido ed umano l'ultimo, consapevole, dialogo tra Marina ed il generale Lowen, prima di salutarsi), sulla carità e sul sacrificio (la vita delle due sorelle), sulla vera e gratuita riconoscenza (il dono di Babette alle sue padrone, ma anche la sua scelta finale), sull'importanza e la necessità del piacere nell'esistenza di ogni uomo, sulle incredibili sorprese che la vita può regalare anche in un posto sperduto, monotono e lontano come il villaggio danese in cui è ambientata l'intera vicenda. "La delicatezza delle atmosfere trasmette il senso mistico di un'esperienza che, attraverso il piacere del gusto, avvicina l'essere umano all'infinita grandezza di Dio per calare in una forma concreta il concetto filosofico di felicità" (Ettore Cecchi) Opera permeata di un profondo e mai banale o risaputo senso religioso, toccata da una struggente ma serena malinconia, ravvivata da inattesi siparietti ironici (i commenti del generale Lowen alle ottime pietanze che contraddistinguono il sontuoso pranzo nel silenzio generale degli altri commensali, i cui volti però esprimono, più di ogni altra parola, un evidente apprezzamento), immersa in straordinari scenari naturali valorizzati dalla sublime fotografia di Henning Kristiansen, impreziosita da una recitazione di altissimo livello e da una regia che regala grazia, poesia e finezza ad ogni inquadratura (bellissimo il finale con la fiamma della candela che si spegne sull'abbraccio caloroso tra Babette e Filippa). Esempio perfetto di quanto basti poco per confezionare film delicati, intimi ed intensi, da amare incondizionatamente per tutto quello che dicono e soprattutto per come lo dicano, quasi sottovoce, senza plateali o fastidiosi esibizionismi né facili o telefonate sottolineature. Un'opera contemplativa ma mai fredda o accademica, che brilla e conquista per la sua luminosa semplicità e la sua naturale leggerezza. Nello spirito un film fortemente truffautiano (soprattutto nella prima parte ricorda molto "Le due inglesi" capolavoro non ancora pienamente apprezzato del celebre regista francese). Quasi cinque milioni di dollari di incasso negli States, 48° nella classifica generale del box office italiano nella stagione 1987/1988 (davanti a titoli ben più commerciali come "Arma letale" o "Chi protegge il testimone" o film italiani d'autore come "Intervista" di Fellini e "Ultimo minuto" di Avati).
Voto: 7 e mezzo.
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