Regia di Ari Folman vedi scheda film
I 150 anni di storia del cinema hanno dato vita ad una serie di omaggi in riferimento alle sue origini, ma anche aperto la via ad un ripensamento generale sul cinema stesso che fa i conti con i propri limiti espressivi e con l'evoluzione dei mezzi di ripresa dell'immagine. Se dal punto di vista del contenuto, tali riflessioni hanno animato i pensieri e l'azione di cineasti illustri che da tempo hanno intuito i limiti della scena e dei suoi protagonisti (non solo attingendo ad un dibattito attuale ma inserendosi in una tematica che trova una sua continuità che accompagna la vita del cinema già qualche anno dopo la sua nascita) è dal versante puramente creativo che la contemporaneità cerca una sua indipendenza, una strada che ne confermi la novità. The congress si allaccia a questa tendenza, il regista Ari Folman contamina l'immagine reale con quella animata, non però mescolata con una manipolazione tecnica e divertita da cui fare scaturire una comunicazione ibrida e interrogativa come poteva essere il Roger Rabbit di Zemeckis, il regista tende alla cifra più autoriale (il suo precedente Valzer con Bashir è un tentativo serio di documentare attraverso l'animazione). Rimanendo sostanzialmente nel campo artistico a lui più congeniale cerca di trasferire codici semantici più profondi scegliendo come possibile via d'uscita l'immaginazione tout court, una fantascientifica realtà che estranei completamente dal proprio essere umano.
L'attrice Robin Wright, interprete di sè stessa, è avviata ad un precoce viale del tramonto quando i produttori di una grande casa cinematografica le propongono di farsi scannerizzare ogni minimo particolare fisico per essere utilizzata in un prossimo futuro a secondo delle esigenze di mercato, eludendo così il deterioramento fisico e la paura di essere dimenticata, garantendosi invece una presenza eterna nel mondo dello spettacolo, il tutto dietro un ricco compenso che le permetterà di vivere come meglio crede e di avere il tempo di recuperare la sua vita affettiva. Questo attraente patto col diavolo, diviso fra Dorian Gray e il mito di Narciso, dovrebbe calibrare con misura la trasformazione da una fase reale iniziale ad un'altra fantastica che stravolge completamente i significati fino allora illustrati, la rilettura morale e personale della protagonista diventata testimone di un mondo nuovo e che si piega e si modifica in relazione alla sua nuova essenza figurativa. Quando la Wright ricompare dopo 20 anni di cui sappiamo solo che è invecchiata, si reca ad un congresso della casa di produzione dalla quale riceverà una nuova proposta. Il film, e sono trascorsi 45 minuti dall'inizio, si trasforma in un cartone animato, Robin anche se segnata dal tempo vedrà, o si rivede nel suo mito e darà il via ad una serie di eventi peraltro scontati. Il passaggio dalla visione reale a quella animata rappresenta lo stacco più ostico, il suo superamento rappresenta il grado di accettazione della storia che se non priva di ambizioni e di spunti interessanti, viene però fortemente concentrata sulle vicissitudini personali della protagonista che anche sotto forma di cartone ricalca perfettamente la sua versione reale. Ci si aspetta allora che Folman sfoderi tutta la sua abilità, il talento visionario che si può trasporre dal cinema dentro un film d'animazione (Miyazaki per fare un nome a questo proposito è distante anni luce) invece lavora per una riduzione progressiva di un mondo nuovo e curioso che resta inesplorato in nome delle buone intenzioni della protagonista e di un'immagine animata assai consueta.
Folman cerca di salvarsi in angolo fornendo solo qualche squarcio ideale e figurativo, il personaggio che incarna un regista (animato) proteso alla salvezza della bella e della creatività suggerisce per un attimo la sua soluzione vincente in uno dei pochi momenti davvero emotivi della vicenda, in un'altra sequenza nella parte animata poi ci offre la Wright in un delirio citazionista nientemeno che del Dottor Stranamore a cavallo del siluro, ma tutto appare tardivo e riduttivo, come se le idee di un grande cinema siano ormai solo possibili se messe in relazione e al servizio di un presente assai circoscritto, un universo microscopico e personalizzato che non si relaziona con niente che sta all'esterno del proprio mondo.
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