Regia di Toomas Hussar vedi scheda film
Andar per funghi. Un diversivo qualunque, che però può trasformarsi in un incubo. Ma questo non è il solito film dell’orrore a sfondo vacanziero. Il terrore è, in effetti, solo per finta. È quello virtuale della rovina dell’immagine, che, per un parlamentare estone finito al centro delle polemiche in seguito ad un’accusa di peculato, sembra davvero un tunnel senza uscita. La sua sovraesposizione mediatica non gli ha giovato: la sua recente partecipazione ad un gioco televisivo si è rivelata un vero tonfo nel ridicolo, che ha inopinatamente preparato il terreno al clamore dello scandalo. Il deputato Aadu Kägu decide così improvvisamente di fuggire, insieme alla moglie e ad una nota rockstar, e si addentra nella foresta fino a perdere il senso dell’orientamento. Mentre si diffonde la notizia della sua scomparsa, Aadu continua la sua singolare avventura in un ambiente sconosciuto, che ha un po’ il sapore magico della favola, un po’ l’aura sinistra di una primitiva follia. Intanto il distacco dal mondo lo riporta alla sua goffa essenza di povero diavolo, di uomo di mezz’età dal corpo appesantito e che ha poca dimestichezza con le questioni pratiche, a cominciare da quelle indispensabili alla sopravvivenza. Questo racconto è un tuffo tepidamente grottesco in un’alienazione all’acqua di rose, consumata ad un passo da casa, in un luogo non troppo infido che dovrebbe fungere da purgatorio per le anime corrotte, ma che in realtà si presenta come la meta ideale di una scampagnata domenicale. Aadu ne uscirà purificato, reduce da una catarsi perfettamente commisurata alla sua modesta statura morale, e forte di una salvezza che fa sorridere e convince poco. Questa tragicommedia, una penosa parabola della mediocrità che si intreccia con l’ipocrisia, tenta di trasferire la satira politica nella dimensione silvestre del mito, lasciando che l’ironia scorrazzi libera ed ingenua in uno scenario naturalistico da libro per bambini. In questo modo la situazione si sdrammatizza, gli acuti polemici si smussano, ed il grande male della degenerazione morale diventa una piccola debolezza facilmente curabile. La pochezza d’animo non è infatti in grado di produrre grandi peccati: non appartiene agli eroi della malvagità, ma solo agli squallidi protagonisti del malcostume d’accatto, quello che, ad esempio, induce ad utilizzare i fondi pubblici per pagarsi un viaggio in Perù. Il film di Toomas Hussar lo dipinge con tinte rozze e tenui, e lo inquadra in una cornice a buon mercato, trattenendo il sarcasmo dentro gli stiracchiati confini di una risatina a denti stretti. Surrealismo e caricatura si tengono romanticamente la mano, mentre l’immaginazione si ferma un po’ pavidamente sulla soglia dell’assurdo, preferendo il discorso indistinto e lacunoso a quello esplicitamente illogico e incoerente. Seenalkaik è un’opera discretamente fantasiosa, ma inutilmente timida, che stanca, alla lunga, per la sua inspiegabile ritrosia a parlare chiaro.
Questo film ha concorso per l’Estonia al premio Oscar 2013 per il miglior film straniero.
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