Regia di Joseph Warren (Giuseppe Vari) vedi scheda film
Un giornalista americano viene inviato nelle Filippine durante la seconda guerra mondiale. Collaborerà in modo decisivo con i suoi commilitoni per la vittoria di una sanguinosa battaglia.
“L’uomo è l’unico animale a non imparare mai niente dall’esperienza. E continuerà a fare guerre, continuerà fino a quando ci sarà ancora libero un posto all’inferno”. Con queste parole, in voce off, si chiude una pellicola che fa della retorica antimilitarista il suo cavallo di Troia, il vessillo posticcio montato ad arte appena in tempo per giustificare un’operazione cinematografica di serie B/C nella quale latitano le idee e i mezzi a disposizione sono oggettivamente risicati. Frutto di una produzione interamente nostrana, Un posto all’inferno è un prodottino affidato a un discreto mestierante come Giuseppe Vari, già sufficientemente esperto come regista di cinema popolare (aveva precedentemente diretto di tutto, dal melodramma allo spaghetti western, dal sandalone alla pellicola musicale) e anche come montatore, tanto da ricoprire qui entrambi i ruoli. Nel cast tecnico si incontrano altri nomi degni di nota: quello di Roberto Pregadio, per esempio, che compone una colonna sonora senza infamia e senza lode con un tema orecchiabile; o quello di Stelvio Massi come direttore della fotografia, ancora lontano dal passare dietro a macchina da presa in prima persona. Di Adriano Bolzoni è invece la sceneggiatura, certo non troppo fantasiosa, ma con i giusti colpi di scena disseminati qua e là e la necessaria dose di azione e sentimenti forti; fra gli interpreti si notano Guy Madison, Fabio Testi, Helene Chanel, Maurice Poli e Claudio Biava. Cento minuti di durata, non troppi, ma effettivamente il massimo accettabile per un lavorino di questa risma. 3,5/10.
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