Regia di George Stevens vedi scheda film
Il parente povero di una famiglia di industriali viene assunto come operaio nella loro fabbrica: ha un tenero idillio con una collega (idillio clandestino, perché va contro il regolamento dell’azienda) ma sogna la bella vita che gli sembra a portata di mano e che per lui si incarna nell’ereditiera Liz Taylor, repentinamente conquistata da un suo tiro di biliardo; la situazione precipita quando la prima ragazza rimane incinta e gli pone l’aut aut. Dal romanzo di Theodore Dreiser Una tragedia americana: un soggetto che sarebbe piaciuto a Fritz Lang, con un protagonista formalmente innocente ma moralmente colpevole e con una sentenza sbagliata che però fa giustizia; ma anche il sempre sottovalutato George Stevens se la cava benissimo, tirando fuori da Montgomery Clift un’interpretazione memorabile. La parte migliore è quella centrale, dove il ragazzo dall’aria mite ma dalle ambizioni smisurate comincia a condurre una doppia vita, una delle quali è di troppo: prima cerca di barcamenarsi nel suo ménage à trois, poi si vede costretto ad accontentarsi dell’esistenza modesta condotta fino allora (e che sembra ancora così attraente all’operaia, che pure si rende conto di essere solo una seconda scelta per lui); ma nel frattempo le sue prospettive sono cambiate radicalmente, e l’idea di commettere un omicidio si fa strada quasi con naturalezza. Titolo potentemente evocativo, purtroppo annacquato da anni di deriva soapoperistica nostrana.
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