Regia di George Stevens vedi scheda film
Bel melodramma con buoni attori, interessanti trama e personaggi, e una notevole fotografia in bianco e nero. Il personaggio di lui - “bravo ragazzo” che con poco arriva all'omicidio – ricorda Robert Wagner in “Giovani senza domani”. Non è azzardato pensare che il tipo umano non fosse poi così raro nell'America di quegli anni: una certa idea di perbenismo per un bene esteriore senza ideali e autenticità; mamme protettive, possessive, e figli quindi deboli, fragili, incapaci di prendersi le proprie responsabilità, soggetti ad ogni vento di passione; una divisione della società in classi in base alla ricchezza. Il personaggio di Montgomery Clift sembra all'inizio un pezzo di pane e zucchero, ma la rete di rapporti in cui si cala ne rivelano presto il suo fondo egoista e cattivo. E' lui stesso l'autore della sua rovina, e pure l'omicidio non è che il risultato di una serie di scelte sbagliate inanellate una dopo l'altra: il sedurre l'innocente ragazza e portarla a letto al primo impulso, il gettarsi tra le braccia della seconda sempre al primo impulso, il non dir niente all'una dell'altra, la spaventosa idea di nascondere ed eliminare i pasticci che ha combinato uccidendo la ragazza col figlio suo che porta in grembo. Lo stesso comportamento della famiglia della Taylor denota un certo indifferentismo morale e una tendenza a minimizzare l'odioso crimine e l'inganno tentato solo perché la persona ha la faccia del bravo ragazzo. Lei stessa lo amerà come prima e più di prima anche dopo aver saputo la verità.
Il film riflette anche sulla responsabilità morale dell'individuo, che comprende anche le intenzioni e e i desideri, e va al di là degli atti effettivamente compiuti.
Bellissima la Taylor, ma ad essere dolce, deliziosa e simpatica è però la giovane e brava Shelley Winters. George Stevens era un grande regista. Qui ha girato questo solido melodramma, al quale si perdona volentieri qualche lentezza nel finale.
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