Regia di Bob Rafelson vedi scheda film
Il recupero forzato, ma dovuto, della visione di un film iconico e chiacchierato non dà buon esito e non tanto per via del nodo scorsoio della suspense che, seppure ben presente, non è mai davvero eccessiva.
Storia celeberrima di torbida passione extra-coniugale, thriller del triangolo che si deve fare coppia e dramma della (in)compatibilità fra due esistenze instabili e voluttuose.
Il postino suona sempre due volte è un film, per quanto mi riguarda, aspro e respingente: descrive momenti di non ordinaria schizofrenia sentimentale e comportamentale che, immancabilmente, non possono che sfociare nel dramma (quello che suggella l’impossibilità dell’unione basata su fondamenta di sabbia).
La violenza sessuale che trasforma, in corso d’opera, il sentimento represso di Cora / J.Lange è, personalmente, inaccettabile e narrativamente, pure, poco plausibile; non a caso è proprio l’instabilità emotiva di lei ciò che stona maggiormente, più che altro per la discontinuità con cui la narrazione evolve il mutare dei suoi sentimenti e le ferina degenerazione degli stessi.
Più ordinata e razionale, invece, la struttura tripartita del film; tinte fosche e musiche da noir addensano l’angoscia di un’esistenza da stravolgere, nella prima parte. Al centro il caso giudiziario che fa da svolta. Nella 3° parte cambiano i colori e i toni e si assiste ad un tentativo impacciato di nuovo inizio, inevitabilmente, però, viziato da pastoie interiori ed esteriori (indole e vizi e, da ultimo, un fato non certo casuale) che condannano l’esistenza allo straziante immobilismo.
Inutile dire che il secondo momento più interessante del film è rappresentato dalla brillante scrittura della scena della macchinazione messa in atto dall’avvocato difensore che, con grande abilità, riesce a mettere d’accordo 2 compagnie di assicurazioni, ottenendo così il risultato sperato.
Perché il primo rimane Jessica Lange, di una bellezza (e bravura) inarrivabile, ciò che dà un senso alla visione del film.
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