Regia di Jun Lana vedi scheda film
René ha chiuso la vita fuori dalla porta. O forse, invece, la desidera. E la desidera troppo.
Colore nascosto. Colore prezioso. La vita, immersa nella natura, è chiusa dentro gli scatoloni del trasloco di una fine sospesa. Le cose sono pronte per l’aldilà. René abita tranquillo in mezzo a loro, nella solitaria sala d’attesa che è diventata la sua casa. Eternamente pronta per una partenza che non arriva mai. Silenziosa, eppure lambita dal sorriso selvatico di un mondo che non rinuncia a venirlo a cercare, per accarezzarlo con i suoi amori dal profumo vagabondo, sempre un po’ sfuggenti, con il volto girato dall’altra parte, verso un richiamo magico e strano. Una cagna randagia. Un ragazzo truccato che ama un altro uomo di nome mamma. Un’anziana che ha perso la memoria, o forse ricorda un passato mai esistito. Un prete che non capisce il suo singolare modo di pregare. L’anima grande di René vorrebbe abbracciarli tutti quanti, ma non sa dove posarsi. Appena allunga una mano, qualcosa vola via. Lo spazio si fa da parte, i suoi doni cadono nel vuoto. E il destino li ricambia a modo suo. Il baratto non funziona. La contabilità è difficile, i conti vanno rifatti, corretti ogni giorno. Anche il testamento cambia in continuazione, alla ricerca di un impossibile pareggio. Ma sbagliato è solo inseguire la giustizia. Il fiume scorre, trascinando con sé ogni cosa, l’equilibrio è un’utopia. Basterebbe accettare la sorte con la sua indole inquieta, la sua mentalità un po’ sghemba, per partecipare divertiti alla sua ironia. Indossare la maschera pacchiana della festa, anziché essere sempre troppo seri. René non sarà libero fino a che non rinuncerà a quel male dal volto benigno che si chiama attaccamento. La devozione è la religione dei segreti, della stregoneria e delle tombe. Lasciar andare è la premessa a quel lasciarsi andare che è un viaggio incontro ad una pienezza fatta di niente, alla vera felicità. Per scoprirla bisogna smettere di desiderare, di non volere, di adorare e disprezzare. Occorre vivere la giungla dell’esistenza come un giardino in cui è bello passeggiare. Questo film immerge il gusto giullaresco della contraddizione in un ambiente filippino curiosamente in bilico tra esotismo e modernità, che concilia gli opposti senza pretendere di smussarne gli spigoli. Ha le movenze temerarie e goffe di una donna che barcolla sui tacchi alti, mentre attraversa la terra battuta. Il suo zigzagare basta, da solo, a creare l’effetto incantatore di una storia refrattaria ad ogni forma di rigore; un racconto che guarda con dolcezza alla sfortuna, a tutte le sventure che solleticano il pensiero e scaldano il cuore.
Bwakaw ha rappresentato le Filippine agli Academy Awards 2013.
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