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The Clown

Regia di Selton Mello vedi scheda film

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La recensione su The Clown

di OGM
8 stelle

Fastidio è il figlio di Puro Sangue. Non sono cavalli, sono due pagliacci. O forse no, almeno non tutti e due. Benjamim è soltanto nato nell’obbligo di esserlo. Perché suo padre è il direttore del circo Esperança, e non conosce altra vita che quella. Certo non è facile attraversare la sterminata campagna brasiliana, per montare il tendone in mezzo al nulla ed esibirsi davanti ad una manciata di persone. A volte il terreno si presenta sabbioso e bisogna – come si dice in gergo -  seppellire il morto, piantare supplementari pali di sostegno. E poi non sempre la gente ride. Che umiliazione dover riverire ogni sera, in apertura, il sindaco e sua moglie, che occupano il posto d’onore in prima fila e non pagano l’ingresso. Benjamim comincia a dubitare di appartenere veramente al mondo. In fondo per il pubblico esiste soltanto come maschera, e per i suoi colleghi come vice del padrone, e nessuno lo vede per  quello che è: un giovane uomo solo, che non può esprimersi liberamente, al di fuori del ruolo imposto dalle leggi dello spettacolo. Non è nemmeno registrato ufficialmente come persona, visto che non possiede alcun documento a parte un singolo foglietto, ormai logoro, su cui è stampato il suo atto di nascita. E così Benjamim, più che un clown triste, diventa un clown stanco, a cui quel mestiere va stretto, mentre la noia e la calura iniziano a dargli alla testa. Avverte il bisogno di aria fresca e nuova; sarà per questo che sogna di comprarsi un ventilatore. Si sente scoppiare, un po’ come la donna cannone, che gli chiede di procurarle un reggiseno, perché a quello vecchio è saltata la chiusura. Una possibile via d’uscita si chiama Ana ed ha i capelli biondi. Quella ragazza un giorno lo incontra, in una delle tante tappe della sua tournée, e lo invita a visitare la sua città, e magari venirla a trovare, nel negozio di ricambi per auto in cui lavora.  È l’unica alternativa che gli sia mai capitata. Un’occasione a cui non può smettere di pensare, fino a staccarsi mentalmente da quell’ambiente precario e limitato, composto da pochi carrozzoni sgangherati e popolato dalle solite buffe figure. Quello, in fondo, è un universo di freaks, adatto solo ad alimentare cupe e bizzarre fantasie. Forse vale la pena di tentare la fuga, per provare ad essere se stesso ed esistere, finalmente, per qualcuno che lo scelga e lo ami. Anche lo show conosce una propria parabola drammatica, che parte con la messa in scena di una finta allegria e prosegue con un’invasione di campo da parte di una tristezza autentica. L’illusione si crepa, in seguito alla discreta intrusione del dubbio. Benjamim, ormai, strappa soltanto risate di commiserazione.  È un povero diavolo, dal cuore spezzato, che beve troppo e capitombola sulla pista di sabbia. Un numero tragicomico che, senza che gli spettatori se ne accorgano, è un pezzo di realtà scappato da dietro le quinte. La magia si accende e si spegne, esattamente come la luce di un sorriso. Il trucco non basta a nascondere il cambiamento. E nel frattempo quella miracolosa fiammella attraversa tutte le sfumature delle emozioni, ridestandosi all’improvviso, correndo a nascondersi per un po’, per poi rispuntare inaspettatamente, quando nessuno sperava più di rivederla.  Il sogno va e viene, la delusione è sempre in agguato. In O Palhaço  i colori della fantasia sorgono e tramontano, fremendo di paura nel momento in cui sbiadiscono. E un viso incipriato diventa il ritratto vibrante di un’umanità che, cercandosi, si perde, per poi arrendersi al potere inestinguibile dell’immaginazione.

 

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