Regia di Annemarie Jacir vedi scheda film
Tarek non conosce la distinzione tra il bene e il male. È solo un bambino, e tutto, intorno a lui, assume le sembianze di un gioco, di una favola, di un sogno, anche quando la bruttezza della realtà sembrerebbe vanificare il potere edulcorante dell’immaginazione. Le storie sono dure e tristi, nel campo profughi in cui il piccolo è stato da poco trasferito con la madre. È il 1967, e il loro villaggio è stato occupato dalle truppe israeliane. Tarek, però, non smette mai di credere di poter presto tornare a casa sua, e di rivedere il padre. Quel desiderio è, al contempo, la fantasia che in lui tiene in vita la magia dell’infanzia, e la pulsione ideale che comincia a condurlo verso l’età adulta. Sotto la spinta di quella utopia, Tarek potrà incanalare le sue energie in un progetto importante, impegnativo e concreto, come quello di diventare un fedayyin, e combattere per la propria terra. La presa di coscienza di una situazione critica e la sua trasformazione in una sfida avvengono ancora sotto l’incanto di una visione fanciullesca, nella quale tutto è possibile e nulla è veramente cattivo, nemmeno la miseria, nemmeno le armi. Tarek non vede ostacoli sul suo cammino, e si sente forte ed autonomo anche se non ha mai imparato a leggere, ed il maestro lo ha cacciato dalla scuola. È davvero convinto di poter affrontare il mondo da solo, tant’è vero che, per unirsi ai guerriglieri, si allontana dalla madre scappando attraverso la campagna. La sua ferrea determinazione convive con la sua totale innocenza, che rimane intatta, in quel suo sguardo limpido e sorridente, a dispetto della difficoltà del momento. Di quest’ultima, il piccolo sembra voler cogliere solo l’aspetto ludico, che pure si concilia perfettamente con la serietà delle sue intenzioni. Prendere posizione può essere un atto semplice e spontaneo, scaturito dal cuore, al quale l’inconsapevolezza del pericolo aggiunge l’entusiasmo necessario a spegner la paura ed accendere il coraggio. Tarek si mette all’inseguimento dell’idea che ama, che fa volare il suo pensiero, che offre spunti alla sua capacità di inventarsi ruoli ed obiettivi. È come un ragazzino che rincorra un aquilone costruito con le proprie mani, dirigendo le sue traiettorie nel cielo. Tarek disegna, dipinge, crea pupazzi. Con una cannuccia fa muovere una formica. La realtà, ai suoi occhi, si presta naturalmente ad essere trasfigurata, rimodellata, ridotta alle dimensioni di un tabellone sul quale poter essere sempre allegramente vincente. When I Saw You non abbandona mai la prospettiva infantile, che, con la forza dell’ingenuità, sfata il mito dell’esistenza di un male assoluto, incomprensibile, impossibile da sconfiggere. Secondo questa angolazione, la lotta non può avvenire per odio o per opportunismo: è, invece, sempre un mezzo per (ri)conquistare qualcosa di bello, un premio messo in palio da un dio dispettoso che ha voluto metterci alla prova. È l’esame per diventare uomini veri. Non è pensabile tirarsi indietro.
Quest’opera ha concorso, come rappresentante dei Territori Palestinesi Occupati, al premio Oscar 2013 per il miglior film straniero.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta