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Wolverine - L'immortale

Regia di James Mangold vedi scheda film

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La recensione su Wolverine - L'immortale

di supadany
7 stelle

Dopo che il primo “Wolverine” (2009) aveva fatto storcere il naso ai più, in casa 20th Fox non si abbandona uno dei personaggi più iconici degli ultimi anni (il Wolverine di Hugh Jackman rimane chiave portante dei risultati positivi/negativi degli “X-men”), ma si intraprenda una strada relativamente diversa.

Entra in campo James Mangold, regista valido per tutte le stagioni (leggasi anche come generi) ed il profilo cambia volto; più spazio alla storia e soprattutto al personaggio chiave che non viene più utilizzato, almeno non solo, come puro strumento d’azione.

Nel suo peregrinare senza meta, Logan (Hugh Jackman) viene convinto ad andare in Giappone per incontrare l’uomo ormai morente che aveva salvato nella Seconda Guerra Mondiale dal bombardamento nucleare.

Quest’ultimo gli offre la possibilità di cambiare il suo destino, ma non vi è nemmeno il tempo di pensarci su troppo che Logan si ritrova nel bel mezzo di un conflitto sanguinoso, tra passato e presente, una donna da proteggere e due nemici agguerriti da fronteggiare.

 

Hugh Jackman

Wolverine - L'immortale (2013): Hugh Jackman

 

L’azione non manca, ci mancherebbe altro, ma questa volta si prediligono, o come minimo si da un consistente risalto, le dinamiche emotive struggenti di Logan, con il suo potere rigenerante che diviene oggetto di attenzioni altrui.

Gli scenari sono più ricchi del solito (a partire da una stupenda intro d’antan e dal sogno nel sogno vissuto da Logan), Wolverine è un personaggio che piace e che non si da pace, non si abusa delle scene action, ma se ne fa al contempo un discreto utilizzo (il top è lo scontro sul treno, per quanto all’insegna dell’improbabilità più assoluta), così che c’è maggior spazio per una storia compiuta, per i personaggi e vi è pure un pizzico di enigma (non troppo complicato, trattasi giusto di una speziata).

Ne deriva un film assai meno sprovveduto e dozzinale del precedente, a tratti forse un po’ lento, ma la trasferta giapponese aiuta a dare maggior corpo alla causa (mentalità, usi e costumi cambiano parecchio) anche se poi la vera primizia arriva sui titoli di coda, un’anticipazione succosa che fa letteralmente srotolare la lingua a tutti gli amanti dell’universo “X-men”, che forse tra i tanti filoni di supereroi è stato, ad oggi, quello capace di regalare le cose migliori, anche se a ondate (“X-men 2” (2003) e “X-men l’inizio” (2011) per chi scrive).

E coraggiosa è anche la scelta di non utilizzare nomi di contorno altisonanti (il che è implicito alla decisione di ambientare il tutto in Giappone), d’altronde Hugh Jackman è garanzia assoluta, certo poi non si vola all’altezza dei migliori “X-men”, ma come riempitivo in attesa delle nuove gesta comuni dei mutanti è ad ogni modo un viatico accompagnatore di tutto rispetto.

Più che onesto, anche se con pochi grandi acuti.     

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