Regia di James Mangold vedi scheda film
Wolverine è morto, viva Wolverine. Nell’articolata composizione in itinere dell’universo cinematografico Marvel, il film di Mangold si prende i suoi tempi per collocarsi come pietra di congiunzione fra la vecchia trilogia (di cui può essere considerato un sequel a tutti gli effetti, visto che si apre con la presenza fantasmatica di Jean Grey/Fenice, uccisa in X-Men. Conflitto finale), quella nuova cominciata con X-Men. L’inizio (i flashback sull’atomica a Nagasaki fungono da ponte con quelli del campo di concentramento di Magneto/Fassbender) e in continuità con X-Men le origini. Wolverine. Ritroviamo l’eroe dal nome di ghiottone allo stato brado, un grizzly per amico, accampato in una grotta con una radio che, manco a dirlo, trasmette il Requiem di Mozart. Dal letargo autoimposto lo risveglia una guerriera che lo imbarca per Tokyo, al capezzale di un vecchio “amico”, un soldatino giapponese che Wolverine salvò dalla bomba e ora vuole pareggiare il conto prendendosi la sua immortalità. Il nemico del supereroe artigliato ha mille volti: silenzioso come un ninja, sfuggente e velenoso come la «chimica, nichilista e capitalista» Viper, intossicante come le continue apparizioni del senso di colpa con le sembianze della Fenice in camicia da notte. Mangold cavalca l’onda del supereroe ferito/umanizzato e della conseguente rinascita (Nolan docet), ma il Wolverine spogliato dei poteri (una cimice meccanica gli succhia l’immortalità dal cuore) non può soffrire più di quanto già non soffra un X-Man funzionante:?i mutanti, si sa, non sono superuomini, ma minoranza reietta. Il regista spinge allora il pedale del sentimentalismo, intrecciando nel tessuto action (troppo) ampie parentesi romantiche squarciate da combattimenti (divertente quello sul treno ad alta velocità, unico momento a sfruttare le potenzialità di una stereoscopia altrimenti superflua). Hugh Jackman scivola per la sesta volta nei panni di Logan ed è l’unico realmente a suo agio: grugno da giovane Eastwood, parolaccia facile e modi spicci da yan-kee allergico all’austerità nipponica, sfoggio di muscoli guizzanti (molto più che nei capitoli precedenti), ormai è un tutt’uno col suo personaggio e, in un’opera che è sequel/reboot/spinoff di immaginari conosciuti, surclassa qualsiasi volto nuovo. Tant’è che il meglio viene, coi soliti noti, dopo i titoli di coda.
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