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Wolverine - L'immortale

Regia di James Mangold vedi scheda film

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La recensione su Wolverine - L'immortale

di nickoftime
8 stelle

Il successo di un personaggio non nasce mai dalla penna che lo inventa. Quello di Wolverine in particolare è il frutto di un imponderabilità che sfugge persino il contesto storico e culturale che l'ha tenuto a battesimo. Ricordiamo che il personaggio nasce nella metà degli anni '70 con apparizioni cameo in vari albi della Marvel per poi imporsi definitivamente negli anni successivi grazie al lavoro e soprattutto ai testi di un fuoriclasse come Chris Claremont, autore degli X-Men a partire dalla fine dello stesso decennio. Arruolato dal dottor Xavier nella rinnovata formazione di giovani mutanti Wolvie rappresenta il contraltare perfetto agli umori che attraversano il gruppo. Provenienti da un passato oscuro e misterioso, solitario e facile all'ira che manifestata con eslosioni di violenza inaudita, Wolvie regisce alle sollecitazione opponendo l'istinto alla ragione, l'aggressività al vittimismo, offrendosi al mondo in una dimensione di conflitto permanente.

Diversamente il corrispondente cinematografico della versione cartacea ha progressivamente normalizzato la complessità del nostro eroe, attenuando di molto la potenza degli archetipi sui cui il personaggio aveva costruito la sua ineguagliabile empatia. Questo per dire che il compito di James Mangold non era dei più facili. Da una parte le esigenze della Marvel desiderosa di allargare il numero dei fan smussando eventuali spigoli, dall'altra le responsabilità del regista nei confronti di un immaginario ormai consolidato nella mente dei lettori. Il risultato è questo "Wolverine - L'immortale" avventura giapponese in cui Logan si confronta con una parte della proprio passato e si innamora della bella Mariko, erede delle fortune di una potente famiglia, e per questo minacciata da una serie di nemici più o meno conosciuti. Scopriremo che c'è di mezzo l'immortalità di Wolverine, e la volontà di venirne in possesso da parte del cattivo di turno.

Dovendo evitare eccessi di violenza e situazioni "compromettenti" Mangold scende a patti con i suoi mecenati preservandoci da quell'hybris che nella versione cartacea era stato motivo di inaudita violenza. In più avendo a che fare con un prodotto per famiglia il regista fa sparire le conseguenze dell'amore tra Wolverine e Mariko proiettando la relazione all'interno di un quadro di platonica attrazione in parte favorita dalla differenza d'età delle parti in causa. Quello che perde in termini di scrittura Mangold lo recupera dal punto di vista delle atmosfere, facendo emergere dai chiaroscuri di una fotografia dai colori autunnali e dai primi piani di un Hugh Jackman particolarmente sofferente lo smarrimento di Logan a confronto con una cultura sconosciuta e per la prima volta senza poteri a causa del letale morso di Viper, incarnazione del male sinuoso e letale che ricorda da vicino Mistica, vecchia conoscenza degli allievi di Xavier.

Se il motivo principale del film, quello su cui punta l'intera operazione, è l'efficacia dei meccanismi legati all'avventura ed all'azione, peraltro realizzati puntando più sulle acrobazie del montaggio e la fisicità degli attori che sulle possibiltà degli effetti speciali - la scena del combattimento iniziale, quella che si svolge durante il funerale ha un bell'impatto sulla storia con il mix tra arti marziali e sfida all'ok Corral- ad emergere sul piano dei contenuti è il ritrovato senso della vita che paradossalmente per Wolverine scaturisce proprio da quei poteri che lo hanno reso inviso al resto dell'umanità. In un parterre quasi esclusivamente femminile risultano un pò stucchevoli gli in­serti "onirici" di Fenice, defunta ma ossessivamente presente nella mente del protagonista, mentre simpaticamente efficace è il personaggio di Iukio, guerriera Ninja dai capelli rossi che sembra uscita da "Kill Bill" di Tarantino. Il finale del film fa pensare ad un suo impiego nelle puntate successive.
(icinemaniaci.blogspot.com)

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