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Mad Max: Fury Road

Regia di George Miller vedi scheda film

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La recensione su Mad Max: Fury Road

di giurista81
6 stelle

Visionato in un cinema estivo all'aperto, dopo aver visto, qualche settimana prima, FURY. Non potevo quindi perdere l'occasione di vedere FURY ROAD, che pure non ha nulla a che fare col primo sebbene il protagonista di quest'ultimo sia chiaramente ispirato al Capitano Miller, mi sembrava un'accoppiata già fatta. Scherzi a parte, veniamo all'analisi della pellicola.

Con Fury Road, dopo un paio di film di animazione e alcune commedie, George Miller torna sui terreni di sua spettanza e regala alle platee un road movie in salsa post-atomica a distanza di trent'anni dal terzo capitolo della saga (quello con Tina Turner, per intenderci). Non c'è più Mel Gibson a personificare Mad Max (per raggiunti limiti di età), lo sostituisce decorosamente Tom Hardy comunque surclassato da Charlize Theron, qua stile Sigourney Weaver in Alien III. La sudafricana gli ruba la scena diventando la vera protagonista del film nei panni di un amazzone guerrigliera (Furiosa) che spara, mena (come dicono i romani) e guida camion.

La pellicola, dal punto di vista della sceneggiatura, ha un ottimo inizio. Vediamo i reduci dell'olacusto nucleare vivere in una sorta di oasi in mezzo al deserto, regrediti allo stadio medievale ma dotati di mezzi, benzina (!?) e munizioni all'infinito. C'è il despota della situazione, Immortal Joe, che se ne va in giro protetto da un'armatura trasparente (ha una serie di tumori sulla pelle) e da una maschera a forma di teschio sul volto che funge da filtro dell'ossigeno. Da lontano somiglia vagamente a Predator. Immortal Joe si atteggia a Dio, tiene succubi i reduci incutendo terrore e dispensando acqua che fa scendere a mo' di cascata sulla massa, ridotta a schiavitù, come una Divinità che concede il premio ai fedeli. "Non desiderate l'acqua o ne diverrete schiavi!"

A tenere banco sono le poche donne ancora capaci di riprodursi (un po' come nel "nostro" 2019 Dopo la Caduta di New York), le riproduttrici di latte (donne costrette a restare attaccate a delle macchine mungitrici) e i soggetti sani (tra cui Mad Max) usati come donatori di sangue. Questa la situazione iniziale che Miller non sviluppa manco per niente, tracciando le basi di un copione che va avanti a suon di inseguimenti in pieno deserto, esplosioni, combattimenti e inquadrature mozzafiato esaltate dalla caldissima fotografia del premio oscar (Il Paziente Inglese) John Seale e soprattutto da delle scenografie memorabili che il regista sfrutta con una serie di campi lunghissimi (in stile western, evidenti omaggi a Ombre Rosse nella sequenza dell'agguato al Canyon) o con rapide inquadrature aeree dagli elicotteri. Miller non porta poi il soggetto sul versante del cinema di genere, omettendo di premere sul pedale del gore che è quasi del tutto assente, sebbene di occasioni per sfruttarlo siano presenti a go go.

Bellissime alcune sequenze, poi tendenti a diventare ripetitive, in particolare l'ingresso all'interno di una bufera di sabbia, con i protagonisti che sembrano muoversi all'interno di un quadro. Davvero una sequenza spettacolare. Per il resto la sceneggiatura tende all'inesistente, con Miller che caratterizza il tutto con una spiccata dose di pessimismo ("La speranza è una brutta cosa perché se non puoi riparare ciò che è rotto finisce che diventi pazzo!") e con caratterizzazioni che vanno dall'esaltato (si veda la troupe di Immortal Joe che pratica il suicidio stile integralista religioso come forma di nobiltà per accedere al Paradiso ovvero il tipo che suona sopra un carro con una chitarra che sputa fiamme per tutto il corso degli inseguimenti) allo psicotico. Mad Max infatti è inseguito da visioni e allucinazioni figlie dei sensi di colpa per non aver potuto salvare dei personaggi a lui cari. Miller non va oltre a questi improvvisi squarci, si limita a mostrarceli in fulminei flashback, senza andare in profondità, quasi a voler sottolineare unicamente un personaggio disilluso e disturbato.

Non manca un omaggio all'horror, in particolare a Io Sono Leggenda. Miller rende quasi figure zombiesche gli uomini di Immortal Joe, completamente glabri, bianchissimi, malatissimi ma comunque fisicamente prestanti e che si drogano con vernici spruzzate sulla bocca.

Alla fine non ci si annoia, ma neppure si riesce a essere coinvolti emozionalmente, se non fosse per il continuo bombardamento di effetti sonori e visivi. La Theron è notevole, molto femminile nel suo essere mascolina. Hardy fa il suo, gli altri sono ordinari. Bella la colonna sonora di Junkie Xl.

In altre parole Mad Max IV paga una sceneggiatura abbozzata (tra l'altro i personaggi partono da un punto per poi farvi ritorno, perché non esiste niente di meglio rispetto alla dura realtà, sognare un mondo migliore è pura illusione; Miller in vena di super pessimismo), messa al servizio di un budget da 150.000.000 di dollari, tanti quanti quelli di Jurassic World, per generare spettacolo ed esercizi di stile. Più vicino, come costruzione, al terzo capitolo della saga piuttosto che ai primi. Pochissimi i momenti morti dove il pubblico possa rifiatare. Azione continua e pirotecnica. Un po' troppo fracassone per i miei gusti. Sopravvalutato, ma visivamente notevole... Avrà un sequel, dato il successo al box office. Voto: 6.5

 

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