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Mad Max: Fury Road

Regia di George Miller vedi scheda film

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La recensione su Mad Max: Fury Road

di Antisistema
9 stelle

Può un film far rileggere l’intera carriera di un regista sotto un’altra luce?
Raramente questo accade, perché alzi la mano chi pensava ad una rinascita artistica di un George Miller, oramai dato per inglobato e disperso nei meccanismi di Hollywood oppure dedito al cinema dell’infanzia con pellicole come il maialino Babe ed i due Happy Feet, di cui il primo capitolo del 2006, gli fece ottenere l’oscar come miglior film d’animazione.
Il ritorno alle origini spesso è l’ultima carta da giocare per chi oramai è alla frutta, ma quasi mai riesce a dare i risultati sperati, arrivando a sancire di fatto il capitombolo finale, che ne segna di fatto la definitiva morte artistica del regista.
Mad Max: Fury Road (2015) era l’ultimo film finanziabile da parte di Miller, che pur contando di un budget di 150 milioni ed il Rated-R, non partiva di certo con i buoni auspici a causa di una pre-produzione travagliata di circa 20 anni tra posticipazioni, pause e cancellazioni del progetto, conclusasi con l’addio di Mel Gibson dall’iconico ruolo.   
Tom Hardy nel ruolo di Max Rockatansky e Charlize Theron in quello dell’imperatrice Furiosa non godevano dei favori del pronostico, l’età anagrafica molto in là di Miller, ben 72 anni, era un ulteriore elemento a sfavore, così come i problemi riscontrati nelle riprese effettuate in gran parte nel deserto del Namib, fecero slittare l’uscita effettiva del film di oltre un anno.
Ma il miracolo si compì al festival di Cannes, in cui venne presentato in anteprima, tra applausi e tripudio di recensioni positive, che fecero montare un rinnovato interesse attorno ad un progetto ed un regista, dato troppo presto per finito.
George Miller al quarto film della saga, prende elementi da ognuno dei precedenti capitoli; da Interceptor (1979) richiama Hugh Keays-Byrne in un altro ruolo di antagonista, Immortan Joe, assieme al trauma della perdita della famiglia, elemento base della “follia” di Max, mentre da Interceptor – Il Guerriero della Strada (1981) ripesca l’inseguimento finale estendendolo all’arco di due ore, nonché un tono sopra le righe portato all’eccesso ed infine da Max Max – Oltre la Sfera del Tuono (1985), prende l’elemento femminile, tramite la figura dell’imperatrice Furiosa, mettendola però come fulcro tematico dell’intera narrazione.
Nella durata di due ore, tolti i primi 10-15 minuti di prologo ambientati nella “Cittadella”, il resto della narrazione si sviluppa in un lungo inseguimento da un punto A verso B e viceversa, dividendo la struttura filmica in due metà speculari ed opposte, ma al tempo stesso complementari.
Miller rinuncia a qualsiasi costruzione articolata, spiegazione ridondante ed inutile psicologismo, giungendo all’essenza di un cinema fatto di immagini pure, scarnificate da ogni elemento superfluo - sulla scia dei western anni 60' di Monte Hellmann -,  dando sfogo al suo stile folle e sopra le righe, pur richiamando la trama gli archetipi del genere western, su tutti Ombre Rosse di John Ford (1939) con il noto scontro finale tra indiani e la diligenza, qui sostituiti da Immortan Joe ed i suoi “Figli di Guerra” su motociclette ed auto, gettati all’inseguimento della blindocisterna (autocisterna corazzata), guidata da Furiosa – più l’aggregato Max -, che ha portato con sé le cinque mogli di Immortan Joe, donne sane e fertili, destinate allo scopo di dare all’uomo dei figli sani e privi di malattie ereditarie.

 

Charlize Theron

Mad Max: Fury Road (2015): Charlize Theron


Mad Max: Fury Road è un puro western-punk, che grida anarchia visiva a pieni polmoni, sfogando tutto sé stesso, in sequenze d’azione coreografate in modo viscerale, senza quasi far ricorso all’uso della CGI, nell’intento di dare pieno significato al concetto di “blockbuster”, non solo in termini monetari, ma anche come modalità espressivo-produttiva, che regali allo spettatore, un’esperienza che gli dia l’idea di aver assistito al più grande spettacolo del mondo.
Nell’ambiguo cinismo del folle Max e la ricerca di redenzione di Furiosa, non c’è alcun romanticismo, ma i due personaggi duettano tra loro come partner legati da una chimica esplosiva, regalando complesse coreografie d’azione, che risuonano fluentemente come note su uno spartito, diretto da un Miller ultra settantenne, capace di mettere in riga la stra-grande maggioranza degli shooter presenti ad Hollywood da oltre 30 anni.
In un tripudio di botti, esplosioni, fuoco e distruzione, c’è una storia di speranza, coraggio ed espiazione, che viaggia su quella mostruosa blindocisterna, trainata da un bestiale motore da oltre 2000 cavalli, che avanza tra molteplici difficoltà in uno stato di continuo assedio, attraverso un deserto immerso in un arancio irreale, dato dalla fotografia di John Seale, che genera la sensazione di un mondo malato e corroso dalle fondamenta, dove la ruggine divora ogni oggetto metallico, arrivando a contaminare pure gli esseri umani, oramai ricoperti da chiazze tumorali, a causa della contaminazione radioattiva.
Il ritorno ad un medioevo tecnologico, in cui si lotta per garantirsi la purezza delle poche cose restanti – su tutto, il controllo per il nuovo “oro blu” ovvero l’acqua -, Immortan Joe ha accentrato su di sé un culto teocratico-bellicista, assurgendo ad una figura di Dio-Re, a cui immolarsi nell’atto di adempiere al proprio destino di morte in battaglia, con la speranza così di giungere al Vallalha; un eccesso fideistico, verso cui il regista muove un grande atto d'accusa nei confronti di un'ideologia militarista, che vede le persone - specie i più giovani -, come mera carna da cannone, posta al servizio di un potere superiore autoritativo. 
Miller scatena tutto il suo estro stilistico, tra velocizzazioni nelle riprese, volteggi della macchina da presa ed un montaggio interno alle inquadrature, ma sempre chiaro, preciso e fluido, nel rappresentare chiaramente ogni segmento dell’azione, nel plasmare, tramite il sapiente lavoro creativo della montatrice Margaret Sixel – premio oscar meritatissimo -, un mondo stravagante, disturbato e ricco di sonorità, che spaziano dalle percussioni tribali al punk puro, sino a partiture addirittura classiche, nella scena della disperazione di Furiosa nel deserto, scaturite dall'estro compositivo del polistrumentista Junkie XL.
Il Max di Tom Hardy, criticato da tanti per non recitare a causa delle poche battute, in realtà risulta coerente con l’ambiguo anti-eroe del secondo capitolo della saga, parlando per lo più tramite monosillabi, dando un’interpretazione virata più sul “wired” e "disturbato", rispetto alla follia schizzata di Mel Gibson, perdendo forse a causa di ciò – e ad un arco narrativo indubbiamente meno incisivo -, il confronto con il personaggio di Furiosa, interpretato da una tostissima e cazzuta Charlize Theron, immersa in un ruolo grintoso ed atipico di figura femminile, da cui scaturiscono molteplici sfaccettature tematiche; su tutte la volontà di essere indipendenti da un potere maschile oppressivo, che vede la donna come mera "res" e non soggetto di diritto.
Furiosa vaga alla ricerca di una redenzione, che si ricollega al “potere della vita” concesso solo al genere femminile, ma a lei purtroppo precluso, dovendo così trovare una strada alternativa nel suo viaggio di ricerca, anche se aggravata dal fatto di essere menomata dell’arto superiore sinistro, compensato da un braccio artificiale, dandole un look bio-meccanico alquanto originale.
Mad Max: Fury Road è il più grande film d’azione del cinema occidentale, ricco d’invenzioni tecnico stilistiche, portate all’eccesso, nel folle inseguimento attraverso la Fury Road, in una continua messa in scena di immagini originali e coreografie innovative mozzafiato, riuscendo a far presa sul pubblico odierno garantendosi un incasso di oltre 400 milioni, un piccolo miracolo produttivo, per una saga il cui ultimo capitolo era uscito 30 anni prima.

 

scena

Mad Max: Fury Road (2015): scena

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