Regia di Marcus Stern vedi scheda film
Sorprendente. Pur non brillando per originalità o genialità, "Long Distance" risulta essere un thriller tutto sommato intelligente, il cui punto di forza risiede nella staticità dell'ambientazione: come in un'opera teatrale, la vicenda si svolge completamente nella palazzina della protagonista, "assediata" per telefono da uno spietato serial killer. Il sangue è poco, almeno nella prima parte, così la tensione, seppure contenuta, è giocata tutta su ciò che non viene mostrato.
Questo gioco di allusioni assume un significato totalmente diverso alla luce del colpo di scena finale (per certi versi imbroglione, ma a me questa "trovata" non riesce a non piacere), in cui lo/a spettatore/rice assiste ad un completo ribaltamento di tutto ciò che ha visto nel corso della narrazione. Così (SPOILER) si scopre che l'agente di polizia (o, meglio, l'immagine che la protagonista si è creata del poliziotto) in realtà è il fidanzato della protagonista, la cui foto non viene mai mostrata durante il film, mentre la criminologa infallibile è la psicologa non così tanto infallibile della protagonista. Ma la vera rivelazione è rappresentata dalla scelta di non mostrare mai il volto di Joe, il killer, e così il rifiuto di Nicole (la protagonista) di vedere il suo volto quando 'lui' uccide l'amante del suo fidanzato indica il rifiuto da parte della protagonista di accettare la propria colpevolezza. Joe, come accennato in un dialogo nel film, rappresenta quindi l'inconscio, il Mr. Hyde di Nicole.
Un buon thriller, con una buona sceneggiatura, un cast piuttosto efficace e una regia intelligente, anche se in certi punti risulta un po' troppo leggero, ma comunque riesce a intrattenere più che adeguatamente lo spettatore.
Voto: 7
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