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All That Matters is Past

Regia di Sara Johnsen vedi scheda film

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La recensione su All That Matters is Past

di OGM
8 stelle

Disadattamento. Ovvero il sogno che sfuma in un incubo. Selvaggio come la rabbia ed il rifiuto. Janne e William si sono sempre amati, fin da quando erano bambini. Ed è da allora che Ruud, il fratello di lui, è roso da una terribile gelosia. Per un periodo i due si sono separati, dopo che un grande dolore ha distrutto il loro rapporto. Lui è diventato un vagabondo, lei ha optato. Invece, per una vita normale, accanto ad uomo che era già stato marito e padre. Ora sono tornati insieme, per riprendere, con maggiore radicalità, quel discorso di fuga dal mondo iniziato quando erano giovani. Una capanna nel bosco. Un materasso sul molo. Un letto fatto di sabbia riscaldata con la brace. Janne e William hanno definitivamente voltato le spalle a tutto, salvando, del loro passato, soltanto il ricordo della passione, tormentata e ribelle, che un giorno li ha miracolosamente uniti. La loro comune irrequietezza, nel frattempo, è cresciuta, si è amalgamata con l’amarezza di un’esistenza ingrata, ed è diventata un enorme no che domina su tutto e non vuole sentire ragione. Il racconto comincia con il tragico epilogo di questo rocambolesco viaggio verso il nulla. In una radura si consuma un duplice delitto, che sembra il naturale compimento di un percorso improntato al progressivo abbrutimento, in cui la dimensione del noi diventa una nicchia di autarchica esaltazione. È l’estremo sbocco di una libertà coltivata come valore assoluto, e conquistata con una battaglia combattuta nel ruolo dei perdenti, nei ranghi marginali occupati dai diversi e dagli incompresi. Il tentativo di ridefinire autonomamente il proprio essere, attraverso l’isolamento dalla civiltà, degrada in una primitiva lotta per la sopravvivenza, che ingloba il rimpianto ed il rancore. La terra chiama a sé le ramificazioni degli istinti, quelle che partono dai processi naturali per svilupparsi in crudeli invenzioni dell’uomo. Un campo di grano dato alle fiamme. Una pietra lanciata dalla cima di un albero. La violenza dei gesti imita l’impulso distruttore che agita il cuore. E intanto anche il sentimento degenera in possessività. Il romanticismo silvestre si lascia contaminare dalla ragione, che è in grado di pianificare il guadagno e concepire la vendetta. È così che la storia, nata come una favola dal semplice incanto, si aggroviglia intorno ad una logica di causa ed effetto, di eventi che lasciano il segno, di progetti che premono per essere attuati. L’alone sfumato della creazione primordiale assume i contorni netti dell’organizzazione sociale: alla coppia si aggiunge, come interlocutore, il resto del mondo, attraverso la presenza di un terzo incomodo, e l’armonia smette di essere esclusiva e perfetta, per assoggettarsi alle condizioni esterne. Il film di Sarah Johnsen ricostruisce le tappe di questa metamorfosi attraverso una sequenza di salti temporali, quasi che la storia volesse riprendersi, mediante questa confusa frammentazione, l’imprevedibile spontaneità di cui è stata privata. La foresta è il regno di una pacifica casualità. La magia si spezza quando il paradiso diventa un territorio da difendere.

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