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Gone Fishing

Regia di Carlos Sorin vedi scheda film

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La recensione su Gone Fishing

di alan smithee
8 stelle

Gli sbagli del passato che riaffiorano a galla, improvvisi e spaventosi come i grossi predatori marini a cui dà (o vorrebbe dare) la caccia il nostro riservato, umile protagonista, allorché questi popolano in abbondanza gli oceani tempestosi e battuti da potenti raffiche di vento man mano che ci si allontana da Buenos Aires e si procede per miglia e miglia lungo la costa, attraverso gli immensi territori vergini argentini; un viaggio solitario in macchina, con soste anche di ore nei pochi distributori isolati ad attendere l’arrivo del combustibile ormai esaurito da giorni. Solitudini che lasciano sin troppo tempo per riflettere e provocano rancori, sensi di colpa in un uomo mite, ormai in cerca di bilanci e di soluzioni per porre rimedio agli errori di gioventù proprio nel momento in cui le forze sembrano tornare a favorirlo e la mente riprende lucidità e razionalità.   Un commesso viaggiatore di cinquantadue anni di nome Marco Tucci, appena uscito da un difficile periodo dedicato alla disintossicazione da alcol presso una clinica specializzata, e ormai congedato da un lavoro che non esiste più a causa del progresso tecnologico, intraprende un viaggio tra le lande infinite della Patagonia con una motivazione ufficiale consigliata dai suoi medici: dedicarsi come hobby alla pesca d’altura come ricostituente e stimolo a proseguire una vita sana e senza le tentazioni alcoliche che invece contraddistinsero troppo tempo del suo passato. Ma il vero motivo del suo viaggio, lo scopriamo molto presto, è un tentativo di riallacciare i rapporti con la propria figlia, trascurata dopo aver abbandonato la moglie anni addietro. Costei vive in una villaggio sperduto tra pianure senza confini dove il colore caldo e accattivante della terra incolta si scontra con i cieli lividi ed affascinanti di uno dei più appariscenti ed appaganti angoli del pianeta, producendo effetti ottici incantevoli e quasi irreali.   Marco si illude di ricucire uno strappo che neanche il buon senso iniziale di una figlia, sposata con un bravo ragazzo e madre di un neonato bello e simpatico, riuscirà a garantire, almeno all’inizio.   Un finale struggente e di una finezza esemplare tuttavia ricuce proprio all’ultimo la speranza del solitario protagonista, data ormai per vana,  di recuperare almeno l’accettazione da parte delle sole persone a cui egli può e deve voler bene.   La semplicità e la linearità della direzione di Sorin rendono questo piccolo film un cult, concentrato meraviglioso e commovente di sensazioni e sentimenti, di nostalgie del passato mal sfruttato o proprio sprecato ad autodistruggersi e a compromettere esistenze innocenti e meritevoli di rispetto e dignità. La superba platealità del paesaggio di una Patagonia che irretisce con i suoi colori lividi e le sue immense sconfinate distese desolate, dove le distanze riescono ancora a dividere ed isolare, dove internet e la telefonia mobile non riescono tutt’ora ad imporre la loro irrinunciabilità, divengono un elemento importante che tuttavia non riesce a sopraffare una storia solo magari abbozzata, ma proprio per questo reale, potente, di grande impatto emotivo. Il protagonista Alejandro Awada è perfetto ed emozionante nel ruolo di un disarmato ed inerte peccatore pentiti in cerca, se non di redenzione, almeno di una tardiva ed anche solo distratta accettazione da parte di coloro che si rivelano solo ora e dunque troppo tardivamente, indispensabili per una sopravvivenza dignitosa e vicina alla serenità. 

Un altro gioiello recuperato nell'oceano vorticoso dei tesori cinematografici sepolti, grazie alla instancabile e generosa lungimiranza della prodigiosa Cinematheque de Nice.    

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