Regia di Anaïs Barbeau-Lavalette vedi scheda film
Avvalendosi dell’espressività legnosamente dolcissima di Evelyne Brochu (graziosa trentenne ai tempi di questo film) alla quale affida il personaggio protagonista del medico delle Nazioni Unite di stanza nei territori occupati di Palestina, Anaïs Barbeau-Lavalette, regista canadese abile e sensibile tocca in profondità le corde drammatiche degli orrori che si apprestano ormai ad essere prossimi al secolare che oscurano quelle lande, senza peraltro mai scadere nel sentimentalismo ed anzi, con pathos distaccato e tutt’altro che reticente, inscena una bella storia dentro quella storia orribile che tutti conosciamo.
Maestra nel cogliere e sottolineare in particolare gli sguardi, la Lavalette regala agli spettatori diversi momenti davvero intensi, ne cito tre: uno appunto il momento in cui la ragazza palestinese (se si devono fare i complimenti, complimenti naturalmente all’affermata, bravissima Sabrina Ouazani) incrocia il suo sguardo con la militare israeliana (complimenti anche a Sivan Levy) nell’attimo in cui scende da un’auto, attimo in cui due persone che si conoscono, e forse si detestano da tempo, senza essersi mai incontrate prima se non per il tramite dei resoconti della dottoressa, finalmente hanno la possibilità (il dono, direi, la fortuna di potersi guardare per un istante solo negli occhi, forse sorridendosi); il secondo: la fase concitata della corsa in ospedale, dove per un attimo il parlarsi con amicizia (finta, magari, costruita certo, ma comunque diametralmente alternativa alla violenza delle armi e della contrapposizione ostinata) tra il fratello della ragazza palestinese e il soldato israeliano al posto di blocco pare per un attimo avere successo e ragione, mentre l’intervento (ragionevole, giusto e sacrosanto) della dottoressa che usa modi bruschi e arroganti per portare le sue ragioni, vanifica il tutto innescando il dramma; il terzo: ancora un occhio, nel tenerissimo finale, quello del fratellino della ragazza col suo lacero costumino da Superman, che “buca” il (tragicamente) famoso muro costruito tra i “noi” e i “voi”, e al di là di questo vede due alberi, uno già grande e uno che gli sta crescendo accanto, disperato e silenzioso grido di pace e di vita che si profila tra le macerie lasciate dalle armi.
Bellissimo film.
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