Regia di Jason Buxton vedi scheda film
Ci sono tanti stereotipi adolescenziali tirati dentro a Blackbird ma c'è anche tanta verità, riflessione e amarezza. Si va dalla disumanizzazione di cui il sistema legale può essere capace al bullismo e alla ricerca feroce di un senso d'identità da parte delle piccole comunità rurali che finisce per agglomerarsi attorno ad un nemico comune, colpevole di essere deviante (E magari non è neanche vero ma qualcun' altro ha deciso per lui, ed è questo quello che conta), veicolo dell'altrui integrazione nella comunità e collante sociale con lo scopo di dare agli altri qualcuno verso cui esibire quell'odio di facciata senza il quale i singoli individui si ritroverebbero alienati e senza nulla in comune l'uno con l'altro.
Questo è lo scopo del bullismo adolescenziale: non osservare divertiti la reazione della vittima ma la costruzione di un'identità attorno ad un nemico comune, un'identità fragile come un castello di carte, capace di crollare al più flebile respiro. Ed è un meccanismo decisamente più insidioso e gelido delle semplici risate sardoniche che provoca chi da solo cerca di fermare gli abusi del gruppetto di "cool kids" di turno.
Possiamo chiederci perché Sean perché Sean si invaghisce proprio di Deanna e lei di lui, la cosa sembra un po' stereotipata in effetti, ma basta osservare con un minimo di attenzione e si notano meccanismi ben più profondi di ciò che sembrano a prima vista.
Da un lato abbiamo un ragazzo dall'estetica goth, occasionalmente persino con smalto nero sulle unghie, sempre con un chiodo borchiato addosso, pentacolo disegnato sia sulla schiena della giacca di pelle, sia sulla sua vera schiena, un tatuaggio nero.
Rapporti problematici, genitori divorziati, cresciuto in città con la madre ma adesso trasferitosi in una cittadina rurale con il padre. Madre in Florida e una sorellastra a cui è piuttosto affezionato, ma che le pressioni del nuovo marito di sua madre gli impediscono di vedere.
Poi abbiamo una delle ragazze più carine della scuola, fidanzata del capitano della squadra di hockey, classica principessa di papà, ad uno sguardo superficiale si può pensare che questa inizi a frequentare il goth taciturno e dal look così appariscente solo per far arrabiare il padre ma nel film quest'ultimo non è presente fisicamente quasi mai, solo come presenza aleggiante e quasi minacciosa, come la mano che Deanna ha l'impressione sia sempre posata sulla sua spalla, un rapporto che si evince facilmente non essere fatto di affetto, ma di orgoglio. Una figlia-trofeo, una mera estensione, un corollario di se, una mente il cui sviluppo indipendente costituirebbe una sconfitta.
- Cosa scrivi?
-Una storia.
-Che tipo di storia?
-Una storia di vendetta.
Una rivalsa soltanto fantasticata diventa qualcosa di più serio, diventa un'accusa e spalanca l'accesso ad il girone dantesco della criminalità minorile e dell'impeto spersonalizzante della punizione detinata agli adolescenti. Delinquenti siete e delinquenti rimarrete, Columbine è Columbine perché altri hanno diciso che si chiama così, lui sa chi è, lo sanno anche loro, ma ci passano sopra, ne hanno bisogno pena dover pensare solo a loro stessi e prosciugare le fonti di validazione esterna.
I pochi personaggi approfonditi bastano e avanzano, anzi, costituiscono un punto di forza se messo in contrasto con l'imperturbabilità di facciata e il piattume empatico della piccola comunità di esseri umani quasi senza volto.
Contesto sempre più alienante grazie ad una colonna sonora ronzante, specie nelle scene all'interno delle celle d'isolamento che vira spesso e volentieri sul Drone creando un perfetto conubbio tra oppressione acustica e oppressione visiva impartita dalle efficacissime espressioni di accentuato disagio e sconforto sui volti degli interpreti. E anche se nel finale il volto dell'allora dicottenne Connor Jassup fa davvero paura per l'espressione di apatia che mima non viene nascosto un velo di ottimismo.
-Uhm, va bene. Le cose facili non sono il mio forte.
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