Regia di Thomas Arslan vedi scheda film
Forse nella vecchia Europa dei giorni nostri, erosa dalla crisi economica e piegata dal disincanto, questo è l’unico modo in cui si possa girare un noir. Tramontate le isterie da action movie d’oltremare, non ci rimane che la melanconica sobrietà di una storia fatta di pensieri e gesti, solo fugacemente sfiorata dall’accento delle emozioni. L’austerità si traduce in un essenziale pragmatismo narrativo, che va direttamente al sodo, senza indugiare sulle riflessioni esistenziali. Trojan è appena uscito di prigione e ha bisogno di soldi. Questo è il punto, e null’altro conta. Le divagazioni sentimentali appartengono al mito, e quest’ultimo è parte di un sogno cinematografico che non è più di moda, ora che siamo disposti a credere soltanto alla verità dei fatti. L’asciuttezza formale ha cessato d’essere una rifinitura estetica, per diventare il marchio di una rassegnata adesione alla disadorna concretezza del mondo. Trojan cerca i vecchi amici solo per trovare complici e mandanti di un colpo che gli faccia mettere le mani su una congrua somma di denaro, tale da consentirgli di starsene tranquillo per un po’. Anche la sua compagna, un avvocato in contatto con la malavita, rappresenta solo un tramite per arrivare allo scopo. L’eroe si è spogliato di ogni alone romanzesco, per essere soltanto un perfetto criminale, cinico, ma privo di inutile livore. Nella sua missione non c’è spazio per le coloriture drammatiche o le sfumature da commedia, perché tutto deve risultare strettamente funzionale all’obiettivo che si è prefisso. Questo film è un’efficace miscela di ordinarietà e freddezza, disposte secondo le rigorose geometrie di una lucida, tagliente architettura scenica. Le luci della città, nella sequenza d’apertura, introducono l’atmosfera tipica del genere, che, nel seguito, continuerà a vivere nell’inespressiva linearità di un gioco duro e privo di sbavature. La determinazione di Trojan si traduce in un disegno severo e pulito, che descrive il suo percorso solitario attraverso un universo fatto di occasioni ed insidie nascoste, sepolte nell’anonimato di un contesto dall’aspetto metallico e squadrato. Intorno alla mimica, dura ed immutabile, del protagonista, il grigiore si fa serio e preciso, ma solo per mancanza di alternative al misero schematismo di una realtà scarnificata da una disillusione postmoderna, che ha tolto all’ambiente il sussulto del respiro vitale. La trama scorre, dritta e sicura, in mezzo ad un nichilismo che persegue la rinuncia, il ritiro, l’abbandono come approdi finale della libertà. Trojan è la componente forte e decisa di un’umanità in declino, che ama lasciar perdere, piegandosi all’impotenza e alla stanchezza, oppure compiendo, come lui, un ultimo sforzo, senza perder tempo ed energie, prima di chiudere per sempre la partita. Automobili, armi, borse e mazzette sono gli accessori di un viaggio organizzato lungo le traiettorie di sterili strategie, in cui corruzione e disperazione presentano la stessa triste compostezza. Im Schatten, come suggerisce il titolo, è il racconto di una vicenda che si svolge nell’ombra, sotto la superficie di eventi che scivolano via, sulla figura del protagonista, coprendo la sua fuga verso una solitaria e silenziosa vittoria. La regia di Thomas Arslan la accompagna con una trasparenza che è uno sguardo indagatore ridotto all’osso, neutro ed imperturbabile, però ravvicinato ed estremamente attento.
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