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Come Rain, Come Shine

Regia di Yoon-ki Lee vedi scheda film

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La recensione su Come Rain, Come Shine

di OGM
8 stelle

Interno coreano, in cui un amore non vuole finire, mentre fuori piove. Youngshin sta per lasciare l’appartamento in cui, per cinque anni, è vissuta col marito Hwang. Sta raccogliendo i propri oggetti personali, per andarsene, perché tra loro tutto è finito, e, nella sua vita, c’è un altro uomo. I suoi preparativi procedono lenti e indisturbati: Hwang non discute e la lascia fare. Le dà persino una mano ad impacchettare le stoviglie che le appartengono, e poi ha prenotato una cena per due in un ristorante che a lei piace tanto. L’abbandono è una realtà rimossa, ma forse anche un pensiero trattenuto, che stenta a maturare. La normalità di quella coppia è rimasta aggrappata a quelle quattro mura, ed è difficile mandarla via. Come si fa a spezzare un mondo, quando non c’è niente altro intorno. Dentro ci sono tante abitudini e tanti ricordi, con i quali si è costretti a restare a contatto, dato che il tempo è brutto e non si può uscire. Forse davvero non esistono alternative alla consuetudine di una vita in due, divisa in ruoli complementari, io a leggere un libro di cucina, tu a guardare la partita di calcio in tv, io che ho bisogno di te per chiudere la portafinestra che è rimasta incastrata. Le piccole cose fanno massa, e si impongono all’attenzione, rendendo difficile ogni addio. Lo stesso senso di vuoto, che grava plumbeo su tutte le stanze, è in realtà impregnato dell’invisibile legame tra due anime che dialogano a distanza: si parlano del loro non avere nulla da dirsi, e del non poter comunque fare a meno l’uno dell’altra. Impossibile interrompere la vita di sempre, quella in cui anche gli imprevisti fanno da collante alla routine.  In quell’ambiente chiuso l’aria è viziata, però è l’atmosfera familiare, di cui ormai si conosce bene il sapore.  Quegli insistenti scrosci di acqua dal cielo formano una grigia cortina che separa la collaudata intimità dall’ignoto che si estende al di là, dove lo spazio è sterminato, però le strade sono divenute impraticabili. Il nido coniugale, anche dopo la morte della passione, è il luogo che raccoglie, nella sicurezza della quotidianità, tutte le cose a cui si è rimasti irrimediabilmente attaccati: il soprammobile a forma di cagnolino nel frattempo si è rovinato, e gli manca un pezzo di coda, ma è un dettaglio prezioso che non si può smettere di amare. Impensabile sostituirlo con un uno nuovo, persino per Youngshin, che è solita sbarazzarsi delle cose diventate inservibili. C’è una pace che nasce dall’inerzia, perché dalla pesantezza, a volte, scaturisce un modo non violento di avviare la riconciliazione. E l’amarezza del rimpianto può essere il marchio di ciò che, per quanto doloroso, fa indissolubilmente parte della nostra storia: il suggello delle certezze costruite giorno dopo giorno, sulla scia di tanti piccoli successi e fallimenti che segnano il nostro percorso a tastoni attraverso i sogni ed i progetti esistenziali. Si conserva gelosamente anche la memoria di ciò che ci ha fatto soffrire, come un obiettivo mancato, che ci ha indotto, nostro malgrado, a cambiare strada. Hwang non ha buttato i disegni che, non vincendo un concorso, hanno  posto fine alle sue aspirazioni da architetto. Tutto, in quel momento di riordino e rimescolamento, torna a galla, per confermare la propria rassicurante invariabilità.  L’imperturbabilità sancisce il tramonto del coinvolgimento emotivo, ma anche la solidità di ciò che ad esso sopravvive: un indefinibile zoccolo duro, che impedisce il divampare della guerra ed è il punto fermo da cui far ripartire il vecchio discorso, con il sostegno di un lucido e calmo realismo.  Come Rain, Come Shine indugia a lungo su questa idea, amalgamandola ponderatamente con l’inutile trascinarsi del tempo: l’attesa inoperosa è la serena adesione all’inevitabilità degli eventi, che, per quanto apparentemente insignificanti, racchiudono il senso di una naturale continuità:  quella che si dà da fare ma non si lascia scuotere, e si nutre della  legittima stanchezza di chi non ha più la forza per poter cambiare.  È tutto a posto.

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